Da Cenerentola a principessa del Belgio: la parabola di Delphine Boël

L’artista 52enne, nata da una relazione extraniugale dell’ex sovrano Alberto II, lo scorso gennaio dopo anni di battaglie legali grazie al test del Dna aveva dimostrato la royal paternità. E ora, dalla Corte d’appello di Bruxelles, ha ottenuto anche il titolo di principessa

Il Belgio ha una nuova principessa: l’artista cinquantaduenne Delphine Boël. Lo scorso gennaio dopo sette anni di battaglie legali, quasi quindici di trattative private e voci, Delphine è diventata ufficialmente la quarta figlia di Alberto II. L’ex sovrano è stato obbligato dalla Corte d’appello di Bruxelles a rendere pubblici gli esiti del test del Dna. L’esame ha confermato che Delphine è proprio sua figlia. Frutto di un amore clandestino ventennale fra lui, sposato dal 1958 con Paola Ruffo di Calabria (dall’unione sono nati tre figli, Philippe, Astrid e Laurent), e la baronessa Sybille de Selys Longchamps, moglie del gentiluomo Jacques Boël.

Ora per Delphine, sposata e madre di due figli, è arrivata una nuova vittoria: la Corte d’appello di Bruxelles le ha conferito il titolo di principessa. L’artista porterà il cognome della famiglia reale: Saxe-Cobourg. Una bella rivincita per una donna la cui vita, a detta dei suoi avvocati, «è stata un lungo incubo a causa di questa ricerca di identità».

Delphine Boël ha saputo la verità a 18 anni, nel 1986. E ha cercato più volte di contattare il presunto padre che una volta le avrebbe detto brutalmente di non essere il genitore. Poi, nel 1999, scoppia la bomba: lo studente Mario Danneels, appassionato di cronache reali, in una biografia non autorizzata della regina Paola svela il segreto di Delphine. Il re non commenta. Nel discorso di Natale accenna a un’antica «crisi fra me e la regina» in cui qualcuno vede un’ammissione. Nel 2005 Delphine va in tv, in Francia, e vuota il sacco. A giugno 2013 cita il re in giudizio: lui ha l’immunità reale, lei spera di rivalersi sugli altri figli. Poi Alberto abdica e parte un nuovo processo. Il giorno stesso dell’abdicazione anche la baronessa Sybille va in tv. E confessa tutto: la liaison, dal 1966 al 1984 (il re ha sempre negato), la gravidanza inattesa, le promesse del sovrano di divorziare, sempre rimangiate.

Nel maggio 2018 la Corte d’appello di Bruxelles stabilisce che l’ex re debba pagare 5 mila euro di multa per ogni giorno in cui si rifiuti di fornire il suo Dna. Nel maggio 2019 Alberto II accetta di sottoporsi al test di cui lo scorso gennaio sono stati resi noti i risultati. Dopo la vittoria in tribunale, il suo legale spiega che Delphine è felice di aver dimostrato la verità ma al contempo amareggiata per la freddezza del re, con cui sperava di poter avviare un dialogo. Anche il testo con cui il re emerito del Belgio ha dato l’annuncio, tramite i suoi avvocati, era del tutto privo di accenni a un pentimento. Alberto ha descritto il processo come «lungo e doloroso» e lamentato la mancanza di rispetto per la sua vita privata.

Ora Delphine è finalmente diventata principessa con diritti sulla successione e sull’eredità. Ma la sua non è stata una battaglia venale, garantiscono i suoi avvocati: il gentiluomo Jacques Boël che le ha fatto da padre, rampollo di una dinastia industriale, è più ricco del re. Delphine, che si è sempre sentita «la discendenza “sporca” di Alberto II, ottenendo «gli stessi privilegi, titoli e capacità dei suoi fratelli e di sua sorella» voleva porre fine «all’esclusione sociale di cui sono stati vittime lei e la sua famiglia».

VanityFair

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