Fedez e J-Ax al Meazza: “Senza la musica non avremmo le cose più belle della vita”

I due artisti a Milano in un lungo spettacolo di musica, parole e grandi ospiti: da Malika Ayane a Nina Zilli, Levante, Stash. “Da ragazzini ci dicevano che non saremmo mai diventati niente”

Visto dal palco che si affaccia nel cuore dello stadio Meazza di Milano, l’evento di J-Ax e Fedez La finale assume i contorni particolari di una storia iniziata molto lontano da lì. “Quando ero un ragazzino mi dicevano sempre che non sarei mai diventato niente. Erano sicuri di questo i miei bulli, i miei compagni, perfino i miei professori. Non avevo abbastanza soldi, non avevo i giusti vestiti, ero spazzatura da periferia”, aveva scritto qualche giorno fa su Instagram l’ex Articolo 31.E in un gioco di sponda social si era fatto sentire pure Fedez: “Ricordo il mio primo concerto al Leoncavallo davanti a 5 mila persone che fu la mia prima rivincita. Prima di allora non fui mai preso seriamente in considerazione”. Inevitabile, insomma, che stasera vada in scena una duplice resa dei conti contro un destino da sconfitti in partenza. Così San Siro, da sempre feticcio prediletto di chi coltiva sogni di grandeur nel mondo del pop, diventa la passerella conclusiva di due rapper divisi dall’età – J-Ax ha 45 anni, Fedez 28 – ma uniti dallo stesso obiettivo, che poi è questo qui: uno stadio sold out (79.500 i presenti, secondo quanto comunicato dall’organizzazione) e tanti saluti ai nemici di ieri e a quelli di oggi. “Sono più rumorosi i tuoi detrattori dei tuoi fan, però è una peculiarità tutta nostra, l’Italia non ti perdona il successo”, dice J-Ax poco prima di salire sul palco, prendendo anche di mira il neo ministro dell’Interno Matteo Salvini, già in passato bersaglio dei due rapper: “Se ci manderanno al confino suoneremo da lì. Ora dovrà dimostrare quanto è democratico”, prosegue J-Ax. Accanto a lui Fedez annuisce, per lui è una data doppiamente speciale: “Essere il più giovane artista italiano a calcare il palco di San Siro non mi emoziona particolarmente”. Interviene Ax: “Dobbiamo però fare la media tra la sua età e la mia, io sono il giovane tra i due”. Entrambi molto carichi, insomma. Senza pensare al domani: “Proseguiremo con le nostre carriere, poi quando avremo bisogno di soldi faremo la reunion”, scherza Fedez. Inizia J-Ax: la struttura che sostiene maxischermi, luci e amplificazione sembra quasi un enorme ragno appeso al cielo, con un’altezza totale di 26 metri. Il palco, che copre un’area lunga 50 metri e larga altrettanto, si affaccia a 360 gradi sullo stadio. All’interno c’è una sorta di ring dove fa la sua apparizione il gruppo trap romano Dark Polo Gang, che apre la serata. Poi sui ledwall sopra il palco viene trasmesso un video dedicato ai due protagonisti della serata e il boato diventa assordante. Subito dopo arrivano 31 pugili in accappatoio di raso che corrono su un ponte trasparente. Sembra l’inizio di Rocky, finché uno di loro non si mostra al pubblico: è J-Ax. Che parte con un medley dal suo disco Il bello d’esser brutti: Ribelle e basta, Miss e mr. Hide, Pub song (con il contributo di Grido, fratello minore di Ax, il primo dei tanti ospiti della serata) e L’uomo col cappello. L’inizio, insomma, è spettacolare come da premesse. Dietro di lui, la band è posizionata su una pedana che ruota.Arriva Fedez: accompagnato da una trentina di performer che indossano maschere led, ecco l’altro protagonista, Fedez. Pure lui parte con un medley (Ti porto con me, Tutto il contrario, Faccio brutto) e poi prosegue con 21 grammi, canzone tratta dall’album Pop-Hoolista. J-Ax e Fedez gestiscono la prima parte dello spettacolo come se fosse un match di boxe in cui i due contendenti aizzano i rispettivi tifosi prima di far cominciare l’incontro. La voce di J-Ax si diffonde in tutto lo stadio contro “la predica tutta italiana del cuore a sinistra e del portafoglio a destra. Per noi questo non significa incoerenza, ma merito, la dimostrazione che in Italia ci si può arricchire onestamente. Noi siamo i comunisti col Rolex”. I due rapper salgono sulla pedana al centro del palco che li tiene sospesi in aria: è il segnale che dà il via al concerto vero e proprio con Comunisti col Rolex e Musica del cazzo, altro brano tratto dal disco best-seller dei due artisti milanesi.Gli ospiti. Il pubblico apprezza e reagisce quasi a comando: salta se c’è da saltare, canta se c’è da sostenere un ritornello. Con Rap’n’roll e Pensavo fosse amore spunta Gué Pequeno ed è come se ci fosse un cortocircuito tra le frasi bellicose via social network e i sorrisi e le rime condivise sul palco: in passato il rapper dei Club Dogo e Fedez se ne sono dette di tutti i colori, adesso invece un cenno tra i due, una pacca reciproca e via. Malika Ayane fa il suo ingresso sulle note di Sirene, mentre Levante e Stash si uniscono a Fedez e J-Ax per Assenzio. Nina Zilli entra in scena per Uno di quei giorni, Noemi duetta con Fedez in Amore Eternit, Sergio Sylvestre canta in L’Italia per me e Il Cile in Maria Salvador. Il momento più intenso è quello con Cris Brave, un rapper bergamasco di 21 anni affetto da tetraparesi spastica: dopo essere stato introdotto con un video che racconta la sua storia, il giovane artista presenta un suo brano inedito, La panchina. “E anche se resterai in panchina tutta la tua carriera, dopo tutti gli sforzi che hai fatto, e aver dato il massimo, sarai sempre sconfortato, ma almeno quella panchina non avrà rimpianti”, canta Brave. Ed è un tripudio .Gran finale: i due rapper chiudono la lunga serata con una dedica: “Senza questa canzone non avrei le due cose più belle della mia vita: la mia futura moglie e mio figlio”, dice Fedez. “Ti capisco perché senza mia moglie e mio figlio non potrei fare musica”, risponde J-Ax. Poi parte Vorrei ma non posto, che trascina la gente fino all’ultimo coro mentre i laser si intrecciano nell’aria e i fuochi d’artificio fanno il resto. Intorno i braccialetti forniti al pubblico si illuminano. Il colpo d’occhio è notevole: è la cartolina finale che i due rapper si regalano prima di salutare uno stadio intero, voltare pagina e cambiare strada. Verso dove ancora non si sa.

Manfredi Lamartina, repubblica.it

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