Lavia, tutta l’opera di Pirandello guarda alla morte

“Perché uno deve vivere se poi deve morire?”.

Questa domanda dolorosa, troppo umana, a cui nessuno sa rispondere, risuona in una fetida stazione ferroviaria degli anni Venti.

E ancora: qual è il senso della vita, di fronte all’inevitabile appuntamento con la morte? Questi due momenti di poetica pirandelliana sono al centro della trasposizione de L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA di Luigi Pirandello da parte del regista e attore Gabriele Lavia che, dopo averlo portato tante volte a teatro, trasforma questo atto unico del 1922 in un film passato fuori concorso nella sezione ‘Tracce di Teatro’ del Torino Film Festival.
Disponibile dal 30 dicembre su RaiPlay, prodotto da Manuela Cacciamani, founder One More Pictures, L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA in realtà è il frutto di un originale mélange ad opera dello stesso Lavia: ovvero la novella di Pirandello CAFFÈ NOTTURNO unita a L’UOMO DAL FIORE IN BOCCA e ad altri brani dell’autore siciliano. “La morte, capisce? E’ passata. M’ha ficcato questo fiore in bocca e m’ha detto: ‘Tientelo, caro: ripasserò fra otto o dieci mesi!'”. Ovvero il cosiddetto ‘fiore in bocca’ è l’amara metafora con cui viene definito nell’atto unico l’epitelioma, il tumore a cui uno dei due personaggi è tragicamente condannato, mentre l’altro, l’avventore, lascia che la sua vita trascorra senza porsi affatto il problema della morte. Nel film i due personaggi, interpretati da Gabriele Lavia e Michele Demaria, si incontrano nella sala d’attesa di una stazione ferroviaria in Sicilia e cominciano a raccontarsi le proprie vite. Nel sottofondo della loro conversazione resta sempre, in modo più o meno consapevole, il tema della morte. “Il film è ambientato non in un caffè notturno, ma in una stazione ferroviaria – spiega Lavia -. Enorme, irreale. In una ‘sala d’aspetto’ gigantesca, sporca e deserta. Soltanto due piccolissimi uomini. Uno pieno di vita, di impegni: la moglie, i figli, il lavoro, i suoi sogni, le speranze, le paure, le angosce. L’altro, ormai condannato a morte da un male incurabile, che ascolta con morbosa curiosità e attenzione il racconto della piccola vita del ‘piccolo’ uomo per coglierne l’assoluta assenza di senso, la stupidità delle sue illusioni, l’insulsaggine delle sue occupazioni e degli impegni o ‘impicci’ inutili della vita rappresentati da tanti ‘pacchetti’ che impediscono all’ometto di poter vivere. Cioè di non ‘perdere il suo treno'”. “Tutta l’opera di Pirandello – dice ancora Lavia – vista da una propria prospettiva metafisica in fondo non è altro che un attraversamento della zona della morte”.

Francesco Gallo, ANSA

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