Niccolò Fabi in concerto all’ Arena di Verona per celebrare i 25 anni di carriera

L’artista romano fa festa nella città scaligera. Una serata divisa in due parti, la prima acustica e la seconda con l’orchestra: “La vita deve essere un percorso che non passa per standard altisonanti”. LA RECENSIONE

Come in un rito tribale il palco ha un cerchio luminoso che accoglie il suo dispensatore di storie. E contro ogni logica musicale Niccolò Fabi parte con un incipit verbale, evocativo come un romanzo di formazione: “La prima cosa che mi viene da dire è che la potenza dell’applauso prima che accada qualcosa di musicale è la più forte della serata perché non è collegata a quello che avverrà ma a quello che è successo prima, anzi potrei andarmene, vi ho portato qui con l’inganno, non c’è nessun concerto. Anzi faccio di peggio porto un tavolo come in una performance di Marina Abramovich e tutti noi ci abbracciamo ma non c’è alcun concerto. Il mio è un percorso sinusoidale dal primo album, 25 anni fa, e se c’è qualcosa fa festeggiare non è una carriera ma l’idea che i disagi possono essere narrati e si può farli diventare un tesoro. Quello che consideriamo successo è un concetto variegato e sfumato. La vostra presenza qui è il segno che si può trovare nella vita un percorso che non deve passare per standard altisonanti. Peccherò di retorica, e chiedo scusa, ma se non lo faccio all’Arena di Verona…dove lo faccio? Meno iva e più retorica, dichiaro. Nel 2000 ho fatto Sereno ad Ovest, forse il disco più sfortunato e dunque voglio cominciare da lì. La canzone racconta di un dubbio, uno stato d’animo che poi è diventato un piccolo stato che simboleggia la comunità raccolta qui”. Niccolò Fabi fa decollare così la sua festa all’Arena di Verona, in una serata mite sotto una coperta di stelle. E’ Il Mio Stato ad accendere i sentimenti. Un album epocale, non solo per l’architetto che lo ha costruito ma per la storia della musica italiano del terzo millennio è La Cura del Tempo del 2003 che Niccolò introduce con E’ non è, una perla di poesia che ci porta verso il senso profondo (della vita). Una caratteristica della serata sono gli sbalzi temporali, è un concerto sinusoidale, per usare un termine che piace a Niccolò: protetto da luci rosse c’è Facciamo Finta…che chi fa successo se lo merita. Sarebbe stato bello ascoltarla su un divano blu e non lasciarsi mai più. A conferma che ci sono milioni di modi per schierarsi ecco un verso di Io Sono l’Altro: sono il velo che copre il viso delle donne accende l’applauso e anche Niccolò si ferma, stende uno iato tra sé e la musica e poi ricorda che per esternare un pensiero non è necessario incagliarsi su Bella Ciao, discutere se è politica o sociale. Siamo al momento karaoke, Fabi dixit, che si apre con Vento d’Estate. Tra accenni d’avanspettacolo con Don’t Stand so Close to Me dei Police e nel Blu Dipinto di Blu di Domenico Modugno si plana su Ecco preceduta da una richiesta per lui inedita e chiede che i cellulari siano la via lattea di questa serata. Si siede al piano per Vince chi Molla e quello che accade è che la gola la stringe al pubblico. L’applauso è come un’onda lunga e lui confessa che è la canzone più significativa che abbia mai scritto. Torna alla chitarra per Sedici modi di dire Verde, preceduta da un ragionamento sul viaggiare che è allontanarsi dalle sicurezze e portare il pubblico nei suoi viaggi in Africa. Su quelle strade polverose è nato questo brano che ci racconta cosa significa una notte che è notte davvero, cosa vuol dire essere la madre del buio. Il tema del viaggio persiste, basta voltare lo sguardo verso Oriente, dove c’è il freddo che ci fa abbracciare e il calore chi fa spogliare. Con Il Negozio di Antiquariato termina la parte delicata della serata, quella che ci porta in un posto speciale che sta alla fine dell’arcobaleno. E mille grazie a ognuno di voi!

Palpitante il cambio di set, quasi fosse un momento in cui sono le ombre cinesi a dettare il ritmo. Il palco si riempie con l’Orchestra Notturna Clandestina (diretta da Enrico Melozzi) che si presenta arabeggiante con Andare Oltre. Con Niccolò Fabi sul palco anche Roberto Angelini, da sempre suo compagno di musica, e il batterista Filippo Cornaglia. Sempre aperto a nuove sperimentazioni ma portando con sé la sua storia, Niccolò ha coinvolto anche Yakamoto Kotzuga che ha curato le componenti elettroniche di alcuni dei brani che presenterà con l’Orchestra. Ci sono momenti, nella vita di una persona, in cui, i pianeti si allineano e non servono parole per sottolineare che vogliamo, esigiamo un mondo senza guerra A prescindere da me ma anche da tutto. Pizzicato l’attacco di Ho perso la città, la narrazione di una disfatta umana al cospetto delle logiche urbanistiche e dei loschi affari nei palazzi perché quello che più rattrista è che abbiamo perso il tempo per parlarci; Niccolò gira su se stesso come un tarantolato, si avvita sulla città smarrita, una invisibile città calviniana. Solo un uomo è a forma di persona e si nasconde dietro una preghiera. Addormentarsi d’inverno è la summa della Filosofia agricola, brano arrangiato con un lavoro d’archi importante, ci accompagna a Una mano sugli occhi, accolta da un applauso già dalle prime note: Fabi la esegue al piano perché visto che ci si avvicina al finale è giusto stringere i pugni per non spostarsi da qui e regalarsi una lunga coda strumentale. Per quanto il tempo rimasto sia poco c’è ancora tempo per Costruire, ascoltata dalla gente dell’Arena in un mormorio da Venerdì Santo, c’è tempo per progredire giorno dopo giorno e bisogna insistere anche se cadrà la neve a breve. Il ritmare delle mani accompagna sul palco Una buona idea che poi è una cometa da seguire finché non si raggiunge il pianeta dove, almeno una volta, ognuno può essere il padre di una buona idea. Che in Arena si traduce in un tutti in piedi a battere le mani. Posso dire che Lasciarsi un giorno a Roma è meno triste che lasciarsi stasera in Arena, sulla scia di un rock vibrante. Ripercorrendo i testi di Niccolò Fabi si ha la sensazione di essere in un opificio di sapienza, certo non quello di Guglielmo da Baskerville ne Il Nome della Rosa, ma di certo in quello della musica italica. Prima dei saluti la sorpresa, un inedito ribattezzato Di Aratro di Arena. E la festa è perfetta!

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