Così Luca Ward è diventato il gladiatore del doppiaggio

L’attore-doppiatore racconta all’Agi il suo libro autobiografico e come da ex camionista è diventato la voce di Russell Crowe and Co: “Ma la battuta cult de ‘Il gladiatore’ l’ho dovuta ripetere trenta volte”.

Prima di diventare il re, anzi, il gladiatore dei doppiatori nonché attore di teatro, cinema, tv, “the voice” Luca Ward si è misurato con parecchi  mestieri: bagnino, bibitaro, restauratore, attrezzista e pure camionista ad alto rischio, assaltato da una banda locale quando, in stile Manuel Fantoni con il suo “cargo che batteva bandiera liberiana” nel verdoniano ‘Borotalco’ trasportava ma nel suo caso per davvero, bulloni in Iraq. 

La voce di Russell Crowe, Pierce  Brosnan, Hugh Grant, Samuel L.Jackson lo racconta nella sua autobiografia ‘Luca Ward, il talento di essere nessuno’ appena uscito in libreria (Sperling & Kupfer), ricca di aneddoti e curiosità che anticipa all’Agi.  “Ho cominciato a lavorare a 14 anni, come facchino, per portare soldi in famiglia dopo la morte prematura di mio padre Aleardo, attore come mia madre Maria Teresa Di Carlo, scelta anche da Fellini nel Satyricon” spiega Ward, 60 anni, raccontando di aver cominciato a muovere i primi passi attoriali da bambino: “Sandro Bolchi chiedeva a mio padre “me lo presti Luchino per una parte da ragazzino?”.

Nonostante il debutto precoce Ward ha però cercato, finché ha potuto di tenersi fuori dal mestiere di famiglia (il nonno però era proprietario di una compagnia di navigazione commerciale, colpito dalla febbre gialla e gettato a mare dal suo equipaggio spaventato dal contagio e ammutinato, ma questo è un altro filone della sua vita da film raccontato in apertura del libro).

Nato a Ostia e fieramente coatto, come rivendica spesso nel suo libro, “ per incoscienza e per soldi” a un certo punto si è dedicato anche alle corse clandestine in moto a Roma:  “I miei sono stati attori talentuosi ma sfortunati, facevano fatica ad arrivare a fine mese, per questo ho cercato di stare lontano dal mondo dello spettacolo – argomenta – perché il tuo destino è eccessivamente nelle mani degli altri: la bravura di un chirurgo o di un restauratore è un fatto concreto, quella di un attore dipende troppo dal giudizio degli altri”.

Ma il talento c’era, quello come recita il titolo del libro, di “essere nessuno” (e pirandelliniamente centomila considerando tutte le reincarnazioni della sua voce). E a un certo punto ha preteso di  essere preso in considerazione: “Tutti abbiamo un talento nascosto dentro di noi, bisogna solo scoprirlo. Verso i venti anni mi è venuta voglia di una rivalsa verso chi non aveva compreso mio padre, anche se ho dovuto lavorarci parecchio, all’inizio nel doppiaggio ero davvero un nessuno… “.

Gli toccavano poche battute, racconta,  in stile “il caffè è pronto” e il giudizio comune su di lui era “non hai la scintilla”. “Mi misi a studiare come un pazzo, passavo intere notti sveglio”.  La scintilla arrivò, insieme alla consapevolezza, precisa che “non si doppia solo con la voce ma con il cuore, con la testa e con la vita” e da lì il successo nell’84, con il primo doppiaggio di un attore protagonista  in ‘A trenta secondi dalla fine’ del regista Andrej Končalovskij. 

Seguono doppiaggi mitici,  Samuel L. Jackson in Pulp fiction, il bondiano Pierce Brosnan  (“al provino mi emozionai”) e il Massimo Decimo Meridio de Il Gladiatore: “Al mio segnale scatenate l’inferno’ la battuta per la quale ancora mi fermano per strada, dovetti rifarla trenta volte, Fiamma Izzo, direttrice del doppiaggio non era mai soddisfatta…”

Una fatica che, successo del film e del mitologico doppiaggio a parte, diventato quasi un protagonista a sé, ha dato i suoi frutti: “Dopo Il Gladiatore sono arrivate le chiamate da attore, non ero più solo, genericamente, quello che fa doppiaggio..”. Da Elisa di Rivombrosa a Cento Vetrine, Ward da voce è diventato anche volto e oggi, chiarisce, non rinuncerebbe mai né a teatro, né a tv , cinema o  doppiaggio “non solo per la passione, ma perché così hai la garanzia di lavorare tutti i giorni”.

Il mondo del doppiaggio però, spiega, non è più quello di una volta, soprattutto per quanto riguarda le serie internazionali: “Si lavora sulla velocità, gli episodi arrivano con il contagocce, e questo non permette lavorare al meglio” premette, dicendosi insoddisfatto di come ha dato la sua voce ad  Hugh Grant in ‘The Undoing” la serie cult targata HBO: “Fino alla terza puntata pensavo che fosse una commedia anziché un thriller psicologico, non si può fare un mestiere artigianale rendendolo industriale”.

I compensi però sono artigianali: “Un turno di doppiaggio di tre ore, quando va bene, viene pagato 200 euro lordi, ma ci si può fermare anche a 90 – chiarisce – e se si pensa a quanto guadagno i doppiatori portano al film è davvero poco. Non è ovviamente un problema solo nostro, i metalmeccanici in Italia prendono uno stipendio da fame”.

Ricca di aneddoti divertenti, a partire da quando attaccò il telefono in faccia alla segretaria di Brosnan pensando che si trattasse di uno scherzo, l’autobiografia di Ward non tralascia gli alti e i bassi della sua vita privata: dai sei anni impiegati per riconquistare la primogenita Guendalina che non voleva più parlargli dopo la separazione dalla mamma alla malattia rara, la sindrome di Marfan, di cui è affetta la terzogenita Luna, 11 anni, nata come Lupo dal suo secondo matrimonio: “Li ho raccontati per due ragioni precise – spiega – nel caso di Guendalina per far capire ai padri che quando accadono queste fratture la colpa è sempre degli adulti e non dei figli, la seconda per spingere gli investimenti sulla ricerca. Quando ci sono i soldi le cure si trovano, come è successo con il vaccino per il Covid”.

Dal 21 aprile  Ward sarà su Raiuno, voce cult narrante “e anche con una sorpresa in video”  per l’’Ulisse’ di Alberto Angela che si apre con una puntata sulla Roma Imperiale. ‘Full Monty’ il musical che interpretava al Sistina di Roma , è stato invece bloccato sul più bello dal Covid: “Siano fermi da tredici mesi e non c’è un minimo di programmazione” chiarisce, criticando la decisione, poi archiviata di riaprire cinema e teatri il 27 marzo: “E’ stata presa quando era già chiaro che a fine marzo la situazione pandemica sarebbe stata critica. Questa incompetenza a tutti i livelli mi fa più paura del virus stesso”.

Ward fa notare che il mondo dello spettacolo sta pagando un prezzo altissimo: “Per la prima volta nella storia una legge ha fermato il nostro lavoro e sono tanti quelli che hanno già finito i loro risparmi”. Se cinema e teatri sono chiusi anche il doppiaggio, precisa, non se la passa bene: “Le produzioni sono rallentate, si doppia il 25 per cento dei tempi pre-pandemia ed è tutto rallentato dai protocolli sanitari”.

fonte: AGI

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