I SEX PISTOLS E I 40 ANNI DEL PUNK. POLEMICHE SUI FESTEGGIAMENTI

Nel 1976 usciva «Anarchy in the U.K.», il singolo rivoluzionario dei Sex Pistols.
Un festival celebra la ricorrenza, ma la benedizione della regina non piace ai puristi

seSu King’s Road sono più le Ferrari delle creste di capelli colorate; il night Roxy oggi è la sede londinese di un grosso marchio internazionale; spille e piercing hanno lasciato il posto ai tatuaggi; la controcultura e la ribellione corrono su Internet piuttosto che sulle corde di una chitarra. Oggi il punk rappresenta una pagina di storia, ma il suo impatto vive tuttora nella musica, l’arte, la moda e la creatività del Regno Unito, così che a 40 anni dalla sua nascita Londra ne celebra l’importanza con un festival che comprende una mostra alla British Library, una rassegna di film al British Film Institute e una dozzina di concerti. Che i fondi per il festival — Punk London il nome — provengano in parte dall’ente pubblico English Heritage, che l’omaggio sia organizzato nei templi dell’Establishment e che tra i personaggi a favore ci sia il conservatore Boris Johnson, sindaco della Capitale, nonché stando a indiscrezioni anche la regina, è un’ironia: il punk, dopotutto, era contro. Contro le convenzioni, la borghesia, le tendenze di massa, la collettività. Se c’è chi spolvera borchie, trucco e stivali per partecipare al Rebellion Punk Rock Festival, al weekend punk del teatro Roundhouse o al festival di musica dell’isola di Wight, che quest’anno vedrà la presenza di gruppi storici come The Damned, i Buzzcocks e Iggy Pop, c’è chi pianifica «atti di ribellione»: come Joe Corré, fondatore della linea di biancheria Agent Provocateur nonché figlio di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood. Il 26 novembre, quarantesimo anniversario dell’uscita del singolo dei Sex Pistols «Anarchy in the U.K.», Corré darà fuoco alla sua collezione di cimeli punk (collezione che vale circa 7 milioni di euro). Dischi, fotografie, poster, abiti che erano in vendita nel negozio londinese dei genitori, Seditionaries: tutto finirà tra le fiamme. «Questi articoli — ha detto — rappresentano un’idea, un’idea che appartiene al passato ma che importa ancora», ha sottolineato. «Che l’anno del punk abbia la benedizione ufficiale della regina è una cosa terrificante. Quella che una volta era la cultura alternativa è stata ingoiata dall’establishment, che ha ridotto un movimento sociale a un pezzo da museo». Corré ricorda che il God Save The Queen dei Sex Pistols, gruppo del quale il padre era il manager, accusava Elisabetta di aver creato un regime fascista, aveva scandalizzato il pubblico di allora ed era stata bandita dalla Bbc. Per Andy Linehan, curatore della mostra della British Library (che aprirà a maggio) il festival londinese è la prova del successo del punk, non del suo fallimento. «Certo, era controcultura, ma oggi fa parte della nostra formazione», ha sottolineato, ammettendo anche che per lui, cresciuto a Londra negli anni 70, setacciare gli archivi alla ricerca di articoli rilevanti è stato «un enorme piacere personale e professionale». «Il punk ha avuto un impatto su tutto, dalla letteratura alla moda: se non ci fosse stato, la Gran Bretagna oggi sarebbe un Paese molto diverso». È d’accordo Vivienne Westwood, una stilista che dal suo esordio ad oggi ha sempre seguito canoni personali senza curarsi delle convenzioni e che ha portato la sua moda in prima linea nell’attivismo sociale e ambientale. «Il punk — ha detto — troverà sempre nuove espressioni perché rappresenta il desiderio umano di fare cose nelle quali crediamo nel modo in cui crediamo, liberi dal controllo e dalle limitazioni altrui». Don Letts, regista e dj che è stato una delle colonne storiche del Roxy Club di Covent Garden e a cui il British Film Institute ha affidato il suo omaggio al punk, dice di notare l’influenza della musica dei Sex Pistols, dei Clash e dei Ramones in alcuni filoni di oggi. «Ci sono generi, come il grime, che sono diretti discendenti del punk». E il falò di Corré? «Peccato. Sicuramente ha cimeli importanti». Se c’è chi lo accusa di autopromozione, Corré rimane fermo nelle sue convinzioni. «Oggi — sottolinea — la società è malata, soffre di un malanno collettivo che ha portato la gente a sentirsi piatta e distaccata dalla realtà. Nessuno sembra più avere una voce, abbiamo smesso di lottare per le cose nelle quali crediamo. È ora di ricominciare»

Corriere della Sera

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