Ha lasciato in modo turbolento “X Factor”. E nonostante dica che i talent sono dei “tritacarne”, dal 2 aprile sarà ad “Amici”. A colloquio con Marco “Morgan” Castoldi, compositore, scrittore e ora “professore”: “Maria De Filippi è intelligente: da lei si studia e si lavora in libertà”
Morgan, che ci fa nel regno del nazionalpopolare?
«Per me Maria è una mecenate».
Però è stato anche da Milly Carlucci a Ballando con le stelle.
«Perché ero fan di sua sorella Anna quando conduceva Parola mia con Luciano Rispoli».
Sia serio.
«Se non fosse per De Filippi la musica in tv sarebbe relegata chissà dove, ancora considerata come una cosa che fa abbassare gli ascolti. Lei è la più grande».
Perché X Factor no e Amici sì?
«Da dove vengo io era proibito lavorare come si lavora qui, con libertà, seguendo i ragazzi come in una vera scuola. Quando si spegnevano le telecamere, tutti a casa. Invece il bello comincia dopo, quando puoi parlare e confrontarti. Senza orario. Lì il format è sovrano, blindato dall’estero. Ad Amici c’è più libertà».
Si spieghi meglio.
«Trovo un vero tritacarne il meccanismo per cui se un ragazzo si iscrive al talent di fatto firma già un contratto. Da Maria non è così».
Sa cosa dicono?
«Sì. Quando dicono che faccio Amici per soldi rido, non ho ancora parlato di soldi con nessuno. Non so cosa sia la ricchezza, immagino gente con gli yacht. Lo sa che farei se fossi ricco? Comprerei un sintetizzatore».
Però non è uno spettatore di Maria De Filippi, su.
«Non guardo la tv perché preferisco leggere, tengo basso il volume perché l’audio che ho in testa purtroppo è alto e si confonde col resto: non sento le voci, sento gli accordi. Però le poche volte che mi è capitato di vedere Maria mi è parsa intelligente, riflette sempre sulle cose che fa».
Uno su ventimila ce la fa: non pensa che i talent illudano un po’ i ragazzi?
«Fare musica non vuol dire diventare star, ci sono spazi creativi, costruttivi e remunerativi che bisogna saper cogliere. Si può preparare una classe di giovani fonici e strumentisti. Il cantante è la punta dell’iceberg e molto spesso non è più interessante di chi lavora dietro le quinte. Non definirei il talent “fabbrica di illusioni”: è una fabbrica di occasioni e opportunità. Do il mio contributo».
In che veste?
«Da operaio della musica, un artigiano che costruisce dall’inizio alla fine, non come Robin Williams che sta alle Bahamas, gli altri fanno, lui arriva e canta… Poi alle Bahamas non potrei andarci, non ho il passaporto».
Cosa rappresenta per lei la musica?
«È come la famiglia dove sono nato: a casa il pianoforte non è d’arredamento, non è scordato come in certi salotti. Ricordo mia madre che suonava Beethoven, Chopin, con mia sorella Roberta abbiamo cominciato a suonare un repertorio tra classica, rock e operette: questa è la mia formazione. Quando suonavo Beethoven al Conservatorio mi guardavano un po’ così, mia madre aveva un approccio passionale con lo strumento. Vorrei spiegare ai ragazzi che la classica è bella come il rock e ti cambia la vita».
Aveva la fama di “bad boy”, sembra l’ultimo romantico.
«Sono un buono, a parte che credo che l’uomo e l’artista vadano separati quando li si giudica. Non sono tenuto a giudicare la vita di Lennon, ma le sue canzoni. Se mi metto dal punto di vista dell’artista, non distinguo l’opera dall’arte. Nella mia arte c’era la mia vita, con autenticità, quello ho scritto è autobiografico, il confine non esiste. Oggi c’è bisogno della bontà dei poeti».
Il più grande artista?
«Il mio amico Franco Battiato. Sa essere profondo e divertente».
Chi deve ringraziare?
«Artisticamente David Bowie. E mia madre: è magica e mi ha donato il carisma. Che significa esercitare un potere sugli altri: mi accorgo di averlo e non so perché. Quando mi vedo non mi piaccio».
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