L’apprezzabile intransigenza di Diaco

(di Tiziano Rapanà) E invece viva Diaco. Non per i modi ma per la positura intellettuale manifestata. Quel “che palle” fastidioso detto tra capo e collo dello svolgimento della trasmissione di Rai 2 “Bellamà” è stato giustamente redarguito. Poi mi metto anch’io a sindacare la foga con cui Diaco ha ammonito la superflua gratuità detta così senza pensiero, nella più pura innocenza, dalla signora del pubblico. Facile dire: ma si è sentito di peggio. E invece è il caso che non si senta più. Rispettiamo il pubblico, perdiana. Ora nel trionfo máximo del moralismo suona quasi paradossale, più che contraddittorio, prendersela con l’intransigenza di Diaco. C’è chi ha cercato il pelo nell’uovo per rendere inattendibile l’inflessibilità del conduttore: “Perché anni addietro ha soprasseduto su questa è quella cosa e oggi no?”, sintetizzo così il malumore che è serpeggiato sul web. Ma ha ragione Diaco nel pretendere un salto di qualità della parola che sfila nella passerella televisiva. Per me è lecito tutto, financo bestemmiare, purché abbia un senso letterario. Il vero superfluo è figlio di un pensiero fuori sincrono rispetto al sentire comune: in quel frangente, la volgarità diventa quasi necessaria. Ma così, nella giungla del tanto per parlare, no. Allora che si strappi il velo dell’oblìo alle vecchie imprecazioni e si torni immantinente a “perdindirindina”.

tiziano.rp@gmail.com

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