Netflix, Ricciardulli racconta il suo film “L’ultimo paradiso”

“Oggi al Sud le dinamiche non sono cambiate molto rispetto a quelle di fine anni Cinquanta raccontate nel mio film. Sono semplicemente cambiati i protagonisti, prima venivano sfruttava le ragazze che lavoravano nei campi, adesso è la volta degli extracomunitari. Il caporalato c’è ancora e le risposte ancora mancano…”. Rocco Ricciardulli regista e autore de ‘L’ultimo Paradiso’ il film originale Netflix (sulla piattaforma dal 5 febbraio) con Riccardo Scamarcio basato su una storia vera che aveva già portato a teatro, ha spiegato così la sua esigenza di raccontare una vicenda antica, ma in fondo non troppo, che contrapponendo due famiglie antagoniste, quella del coraggioso contadino Ciccio Paradiso (Scamarcio) e quella dello sfruttatore di lavoratori dei campi cumpà Schettino (Antonio Gerardi) parla di radici, di appartenenza, di sfruttamento, di esigenza irrefrenabile di riscatto e anche di anelito femminile alla liberazione dall’oppressione dei padri padroni.     “E’ una storia che abbiamo girato e ambientato in Puglia ma che è accaduta nella mia Lucania, mi è arrivata dai racconti appassionati di mia madre – ha raccontato – riaprendo una pagina di un passato che mi appartiene ho cercato di dar voce a fatti rimasti sepolti nel tempo, ma ancora molto contemporanei”. Il regista oggi trapiantato al Nord che ha puntato a ritrarre il fascino delle terre aspre del Sud raccontandosi (non a caso il bambino che interpreta il figlio del protagonista si chiama Rocco, come lui) ha sottolineato che oggi al Sud mancano ancora molte risposte: “Lo vedo ogni volta che ci torno: qualche anno fa, allestendo uno spettacolo sullo sfruttamento dei migranti mi sono accorto che ci sono persone che vengono ancora pagate soltanto due euro all’ora per lavorare nei campi”.

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