Omar Pedrini: porto sul palco scrittori, poeti e artisti

Omar Pedrini lo chiama «una piccola follia», «un happening», o ancora, parafrasando Jovanotti un «Omar Art Party». Fatto sta che l’appuntamento con cui oggi al Fabrique di Milano chiude il suo «Viaggio senza vento» dedicato allo storico concept album dei Timoria non è un semplice concerto. «Mi sembrava giusto, dopo nove mesi di tour che sono stati un inaspettato trionfo, fare una festa speciale per tagliare definitivamente il cordone ombelicale con questo disco, prima di dedicarmi ai miei prossimi progetti», spiega. Così il rocker bresciano, 52 anni, che dei Timoria era leader e chitarrista, ha chiamato a raccolta tanti ospiti in un incontro di musica, letteratura e cinema.

Duetteranno con lui Eugenio Finardi e Mauro Pagani che già erano parte dell’originale «Viaggio senza vento», uscito nel 1993. Ma ci sarà anche lo scrittore e tatuatore siberiano Nicolai Lilin a parlare del rock nell’Unione Sovietica «e a ricordare che il rock è libertà e tolleranza». Salirà sul palco Matteo Guarnaccia, figura chiave della psichedelia italiana e in un dialogo fra rock e rap (che Pedrini porta avanti dagli anni 90, quando i Timoria collaborarono con 99 Posse e Articolo 31) ci sarà Ensi. La serata partirà alle 19 con il docufilm «Lawrence. A life in poetry», sul padre della beat generation Lawrence Ferlinghetti, seguirà un dj set rock e poi Pedrini riporterà live, per l’ultima volta, quel disco seminale del rock italiano che ancora oggi parla trasversalmente alle generazioni.

«Sotto il palco, oltre a quelli che chiamo affettuosamente i miei grigioni, vedo anche tanti ventenni, perché il protagonista dell’album, Joe, era un ventenne, e c’è sempre chi si identifica», racconta. Con il suo rock party Pedrini ci tiene fermamente a ricordare che «il rock non è morto e non morirà mai». I Timoria «erano indie rock e contribuirono a un momento d’oro del rock italiano. Oggi va l’indie pop, c’è la trap, ma è un periodo e l’ho già visto accadere negli anni 80. Il rock, poi, torna sempre, perché è un’arte e un metalinguaggio. Non amo la trap perché si sono persi i musicisti, mentre la mia band non fa finta di suonare. Però non facciamo come mio padre: se ai ragazzi piace la trap, allora viva la trap».

Di quel che va forte oggi, però, lo Zio Rock non si lagna affatto: «Odio i cinquantenni che pensano di aver avuto la musica più bella e sostengono che i giovani di oggi non valgono nulla. Seguo con attenzione i nuovi artisti, vado ai concerti, mi piacciono Calcutta, Frah Quintale, i Coma Cose, Maria Antonietta… Sulla scia di una cosa che funziona, ne escono tantissime di simili, non fondamentali, ma c’è un nocciolo di grande talento». Altra critica che Pedrini non sopporta? «I ragazzi vengono accusati di disimpegno, ma io dico, sapete cosa vuol dire avere 20 o 30 anni oggi? Non c’è lavoro, il pianeta è disastrato… se hanno bisogno di leggerezza nella musica, ben venga».

Barbara Visentin, Corriere.it

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