Giuseppe Carboni ha raccontato come è arrivato alla direzione del Tg1

In una intervista a La Stampa ricostruisce i 15 anni da precario, il peregrinare da una redazione all’altra e infine l’incarico di ‘coprire’ il M5s quando ancora non ci credeva nessuno

La giornata di Giuseppe Carboni si è aperta da caporedattore al Tg2 e potrebbe chiudersi da direttore del Tg1. Manca solo il via libera del Cda e questo esperto di M5s – li ha seguiti dal sorgere del movimento – si troverà al timone dell’ammiraglia dell’informazione Rai. Qui vi è entrato occupandosi di musica per poi fare di tutto. “Vengo da una vecchia scuola, ho avuto maestri che mi hanno insegnato il rispetto per la prassi e sul campo racconto quello che vedo e le notizie certe che ho. Mai lavorato con altro” si racconta Carboni, romano di Roma Nord, più esattamente della Balduina – un dettaglio geografico che nella Capitale ha un significato al di là delle serie tv che sbeffeggiano le rivalità tra i quartieri. Assunto nel 1995, l’epoca dei ‘professori’, era un precario storico della Rai, proprio come Giuseppina Paterniti, designata alla direzione del Tg3. Poi 4 anni a RadioTre: “Eravamo la novità assoluta, quando si andava formando il nucleo di Stereo Notte. Così quando Biagio Agnes decise di fare la stereofonia, da RadioTre sono passato a Stereo Notte dove dall’82 al ’90 grazie anche alla mia voce adatta, sono stato impegnato alla conduzione. Da lì sono passato al Tg2 e ho collaborato per anni con Roberto Amen e per Pegaso”.E poi Medicina 33, Tg2 Dossier e Diogene: insomma un curriculum standard per chi in Rai ci è cresciuto e ha rimbalzato – a volte volente a volte nolente – da una redazione all’altra, dove si presentava la prospettiva idi un contratto di una stagione o anche solo di qualche mese. Poi, finalmente, l’assunzione e un altro passaggio tipico dei precari che fibnalmente diventano a tempo indeterninato: il passaggio per una sede regionale. A Carboni tocca Bolzano, dove resta per qualche tempo, prima di approdare al Tg2 dopo un passaggio al TgR. Mimun, che all’epoca era direttore, lo sorprende: “Mi aspettavo di occuparmi ancora di musica, invece fui messo al politico. Ero considerato un giovane anche se avevo già passato i trent’anni ma loro volevano gente nuova. Da caporedattore potevo lavorare nella mia stanza invece ho deciso di tornare in strada quando Marcello Masi mi propose di seguire Grillo e da lì mi hanno distaccato sul Movimento”.La musica, dice, resta un fatto privato: la dedizione al blues e all’R&B “quando in Italia nessuno ne parlava”, la collezione di tremila vinili da ascoltare con i tre figli.Si definisce un “prodotto aziendale” e 40 anni in Rai non possono dargli torto. “Ho sulle spalle 10 anni di line, perciò capisco come funziona la fattura di un tg che ha altre regole rispetto alla carta stampata”.

Agi

Torna in alto