FRANCE TÉLÉ SULL’ORLO DEL FALLIMENTO

La denuncia della Corte dei conti che analizza 5 anni di gestione della tv pubblica. Situazione finanziaria al collasso e troppi dipendenti

Delphine ErnotteUna batosta così neanche la Rai di Monica Maggioni e di Campo Dall’Orto, in perdita di ascolti e pure di canone nonostante la trovata di farlo pagare con la bolletta della luce.
France Télévisions, sotto la guida di Delphine Ernotte, vera «protégée» del presidente Hollande che a maggio 2015 l’ha nominata alla guida dell’emittente pubblica con l’incarico di risanarla e ridarle smalto professionale e produttivo alla vigilia delle presidenziali del 2017, fa molto peggio, secondo il report della Corte dei conti, appena pubblicato, che analizza cinque anni di gestione, dalla presidenza di Remy Pflimlin, un giornalista televisivo fedelissimo di Sarkozy e per questo catapultato (l’aggettivo è del quotidiano Le Monde) ai vertici nel 2010, a quella attuale della Ernotte.
Il bilancio di questi ultimi cinque anni (2010-2015), secondo i giudici contabili, è semplicemente terrificante: «situation financière dégradée», «manque de réformes», «synergies insuffisantes», «rétard sur le numerique», situazione finanziaria al limite del collasso (il bilancio 2016 chiuderà con un buco di 34 milioni di euro), incapacità di riformare il modello produttivo (si veda, solo per fare un esempio, il lancio del canale all news FranceInfo:), sinergie insufficienti (e qui vale ancora l’esempio di FranceInfo: con la palese incapacità di mettere a fattor comune le risorse giornalistiche della tv e della radio), ritardo nei processi di digitalizzazione
La Corte dei conti, è il caso di dire, non fa sconti a un quinquennio di gestione (in gran parte sarkozista ma ora anche hollandiana) che ha portato l’emittente pubblica sull’orlo del default («caractère erratique du cadrage financier», un quadro finanziario erratico, scrivono con palese autocontrollo linguistico i magistrati).
Si comincia con i livelli occupazionali, decisamente sovradimensionati rispetto ai bisogni dell’impresa televisiva: i dipendenti erano 10.211 nel 2009 all’arrivo del presidente Pflimlin; sono 9.932 alla fine del 2015, con la neopresidente Ernotte, con un calo di appena il 2,7%. Causato, secondo un report di Pflimlin allegato diligentemente alla documentazione contabile, dalla richiesta dell’Eliseo e dei vari governi dell’epoca di «lutter contre la precarieté», vale a dire di assumere l’esercito dei precari che a France Télévisions, così come alla Rai, vengono allegramente utilizzati nonostante la presenza di organici, cioè di dipendenti in pianta stabile, non proprio risicati. Insomma, un’altra dimostrazione che in tutte le tv pubbliche, controllate dalla politica, a Parigi come a Saxa Rubra, è appunto la politica che detta le regole e fa saltare i conti.
Passiamo ai giornalisti. Sono un esercito di 2.700 tra redattori, capiservizio e redattori capo e costano 635 milioni di euro l’anno. Per loro la cura dimagrante è stata ancora più leggera: l’organico in questi cinque anni è sceso solo dell’1,9%, meno di qualsiasi turnover. Con la conseguenza che il costo del lavoro complessivo (coûts de grille) è perfino aumentato, che la produttività generale del settore informazione è scesa parallelamente al crollo dell’audience (la rete ammiraglia, France2, è scesa sotto Tf1 del gruppo Bouygues ed è insidiata dal canale M6 del gruppo tedesco Bertelsmann: vedere ItaliaOggi del 22 ottobre).
Da ultimo, i costi del canale all news FranceInfo: gran vanto della Ernotte: secondo i magistrati contabili, «les chifragges sont flous» che si può tradurre in un allarmante «le cifre sono ballerine» e non rendono chiaro l’impegno finanziario effettivo (coût réel) dell’emittente.
Come se ne esce? Alla fine del rapporto la diagnosi della Corte fa venire i brividi: «La flaible capacité de l’entreprise a dégager des économies significatives rend problématique le financement du groupe pour les années qui viennent», la scarsa capacità dimostrata da France Télévisions a fare economie significative rende problematica anche la possibilità di trovare fonti finanziarie in futuro.
Un warning, un avviso d’allarme che la politica, nell’anno delle presidenziali, saprà ascoltare. Nell’unico modo che conosce: chiedendo a Bercy, il ministero dell’economia, di mettere mano al portafogli. Come fa da sempre.

Italia Oggi

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