Vent’anni senza Giorgio Gaber, con l’ironia ha messo a nudo i difetti dell’uomo

Ha inventato il Teatro Canzone e la sua eredità vive oggi nei tanti artisti che lo prendono a modello. La Fondazione Gaber lo ricorda con una maratona in streaming di 24 ore

Il primo gennaio del 2003 si spegneva Giorgio Gaber. Al termine di una lunga malattia il cantautore se ne andava lasciando un vuoto che nella cultura italiana nessuno è stato in grado di colmare e allo stesso tempo un’eredità che moltissimi hanno provato a raccogliere. Dalla canzone popolare al rock’n’roll, fino al Teatro Canzone, quella di Gaber è stata una lezione senza tempo, per acume, anticonformismo, capacità di analizzare i mali della nostra società senza mai cadere nel moralismo.

Giorgio Gaber ha rappresentato un unicum nella cultura italiana, e come tale è probabilmente irripetibile. Ma a vent’anni dalla sua scomparsa il segno profondo che ha lasciato è facilmente verificabile nell’eredità che germoglia nell’attività di tanti artisti che si sono inseriti nel suo solco. Non solo riprendendo direttamente alcune sue opere e spettacoli, ma soprattutto assimilandone la lezione in una forma espressiva come quella del Teatro Canzone che Gaber ha contribuito a codificare, lasciandosi alle spalle il successo dei primi anni fatto di rock’n’roll, televisione e hit dalla grande popolarità.

Perché Giorgio Gaber, nato Giorgio Gaberscik il 25 gennaio del 1939 a Milano, è stato prima di tutto un grande musicista (la sua tecnica chitarristica era affatto banale e molto doveva alla lezione dei jazzisti) e un grande cantautore. Lui, cresciuto in una Milano culturalmente viva, accanto ad artisti come Dario Fo ed Enzo Jannacci, si impone negli Anni 60 con una serie di canzoni che mettono insieme l’amore per il jazz e quello per la canzone francese, a cui Gaber dà un tocco unico con le sue straordinarie doti di entertainer. Ecco così titoli che sono rimasti nella storia della musica leggera italiana come “Non arrossire“, “La ballata del Cerutti“, “Porta Romana“, “Torpedo blu“, “Il Riccardo“, “Barbera e Champagne“, “La balilla“. In mezzo ci sono quattro partecipazioni al Festival di Sanremo e svariati programmi televisivi, come “Questo o quello“, “Diamoci del tu” (dove in una puntata presenta al pubblico un giovanissimo Franco Battiato) e “E noi qui“. 

Ma in un percorso pur ricco di soddisfazioni e successo a Gaber manca ancora qualcosa. Una forma di espressione artistica che sia figlia di una ricerca e di un pensiero più profondi. Nel 1970 fa il primo tentativo con uno spettacolo teatrale, “Il Signor G“, in cui si alternano monologhi in prosa e canzoni. Lo scrive con Sandro Luporini, che da quel momento firmerà con lui tutti i successivi spettacoli, ed è la nascita del teatro canzone. I primi riscontri sono incerti ma Paolo Grassi, direttore del Piccolo Teatro che produce lo spettacolo, lo convince ad andare avanti. Nel 1971 Gaber e Luporini insieme scrivono “Storie vecchie e nuove del Signor G“. Il dado è tratto. Da questo momento comincia una carriera diversa per Gaber. Non solo per il luogo in cui si svolge, ma anche per il tipo di spettacolo presentato, dove i testi entrano come un coltello nel burro nella società italiana, mettendone a nudo ipocrisie e meschinità, inizialmente in un continuo confronto con il movimento del ’68 per poi allargarsi nel corso di quasi trent’anni al rapimento Moro, Tangentopoli, la caduta delle ideologie, fino al prefigurarsi del populismo e del qualunquismo venato di reazione. Ma non manca una lucida analisi dei drammi individuali oltre all’incombere del consumismo fino all’ossessione dell’apparire e dei numeri come principale criterio di valutazione. L’arma usata è quella dell’ironia e nei testi degli spettacoli non c’è mai traccia di facile moralismo. 

Nel 1972 è la volta di “Dialogo tra un impegnato e un non so“, che contiene capolavori come “Un’idea”, “La libertà” e “Lo shampoo”. E poi verranno “Far finta di essere sani“, “Anche per oggi non si vola” e “Libertà obbligatoria“. Il 1978 è un anno di svolta. In “Polli di allevamento” Gaber non si fa problemi a prendere di petto il movimento giovanile del ’77, accusato di conformismo, risultando oltremodo urticante per una grande fetta della sinistra, area culturale da cui pur proveniva e in cui si inseriva ma con un imperdonabile difetto di fondo: voler mantenere la propria libertà di pensiero. “Polli di allevamento” è rilevante anche perché a occuparsi degli arrangiamenti delle canzoni sono Franco Battiato e Giusto Pio. La rottura con una certa area politica è talmente forte che non di rado la canzone conclusiva dello spettacolo, “Quando è moda è moda” viene accolta da sonori fischi. Ma Gaber va dritto per la sua strada e, due anni più tardi, rincara la dose con “Io se fossi Dio“, un’invettiva che nel suo non risparmiare nessuno raggiunge toni apocalittici.  

Negli anni successivi arrivano altri spettacoli importanti come “Anni affollati” e “Io se fossi Gaber“. Ma negli Anni 80 non mancheranno divagazioni dal percorso del Teatro Canzone: come quando con Enzo Jannaci mette in piedi gli Ja-Ga Brothers, versione nostrana e rock’n’roll dei Blues Brothers ottenendo successo con il brano “Una fetta di limon”, o quando si dedica alla prosa pura, con lo spettacolo “Il caso di Alessandro e Maria“, in cui è in scena con Mariangela Melato o, nel 1989, con il monologo de “Il Grigio“. Gli ultimi impegni con il Teatro Canzone sono per gli spettacoli “E pensare che c’era il pensiero” e “Un’idiozia conquistata a fatica” (in questo spicca il brano “Il conformista”, ripreso anche da Adriano Celentano). Quest’ultimo, con le repliche che arrivano alle soglie del 2000, vede Gaber già lottare con i gravi problemi di salute causati da un carcinoma ai polmoni che gli viene diagnosticato nel 1997.

I primi anni 2000 lo vedono così ritirarsi dall’attività teatrale, decisamente troppo faticosa e impegnativa, ma non certo dal voler raccontare a modo suo quello che vede accadergli intorno. Giorgio Gaber torna così alla discografia in studio, con due album, “La mia generazione ha perso“, nel 2001, e “Io non mi sento italiano“, uscito postumo venti giorni dopo la sua morte. Tra inediti e brani tratti dai suoi ultimi spettacoli, questi dischi consegnano alla storia canzoni come “Destra sinistra” (brano di una decina di anni prima ma aggiornato nel testo per agganciarlo all’attualità), “Il conformista“, “Qualcuno era comunista“, “Io non mi sento italiano“, “Canzone dell’appartenenza” che come al solito tratteggiano con grande ironia, ma senza fare sconti, i mali delle nostra società, con l’aggiunta di un velo di malinconia di chi si rende conto che le grandi illusioni e le speranze degli anni precedenti sono affondate sotto il peso del conformismo e dell’ipocrisia.    

UNA MARATONA IN STREAMING PER RICORDARE GABER

 Da mezzanotte a mezzanotte, una lunga maratona di filmati unici destinati per ritrovare la compagnia del Signor G e della forza inesauribile del suo lavoro. E’ quanto propone la Fondazione Gaber il primo gennaio per celebrare ma soprattutto far conoscere Giorgio Gaber anche alle nuove generazioni. Una lunga sequenza senza ordine cronologico, con estratti significativi in prosa e in musica riferiti a trent’anni di Teatro Canzone. Dalle prime apparizioni televisive della Svizzera Italiana, con il Signor G, alle retrospettive registrate nel 1980 al Teatro Lirico (ora Teatro Lirico Giorgio Gaber), agli spettacoli degli Anni 80 e 90 nei più importanti teatri italiani, alla produzione video voluta dallo stesso Gaber e realizzata a Pietrasanta nel 1991. La maratona “Tutto Gaber” sarà disponibile in free streaming per 24 ore sul sito e sul Canale YouTube della Fondazione, per consentire a tutti accesso libero e anche perché è soprattutto ai giovani che il lavoro divulgativo della Fondazione Gaber si rivolge.

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