MOJ E BUKURA MORE: una melodia antica come la terra, un canto che attraversa seicento anni e respira con l’eco dei monti, la profondità dei mari, e l’ombra lunga delle migrazioni. Alma Manera e Merita Halili fanno fiorire di nuovo questo antico canto arbёresh, una preghiera che scivola lungo la storia e si fonde nella carne di due voci potenti e distinte.
Alma e Merita insieme al pianoforte di Kozeta Prifti e alla fisarmonica di Raif Hyseni, fanno emergere dalle note un dolore antico. L’arrangiamento, teso e intricato come una mappa perduta, è opera di Carlo Zanetti e Hyseni, che trasportano i suoni come vento tra gli ulivi.
La canzone, MOJ E BUKURA MORE, è un mosaico di nostalgia. Più che un canto, è un sussurro tra le rovine, una carezza che attraversa il Mediterraneo. È amore, esilio, una donna – forse reale, forse ombra di un sogno – che si perde tra i versi, come la figura lontana di Morea, il Peloponneso, patria e cuore spezzato degli arbёresh, i rifugiati che fecero del sud d’Italia la loro casa ma mai dimenticarono da dove erano venuti.
Sei secoli sono passati e la canzone resta, intatta nella sua semplicità, i suoi versi di tre righe che si attorcigliano nel cuore come il filo che cuce una ferita. Chi fu il primo a cantarla? Non importa. Conta l’oggi. Ossia che, nel suggestivo videoclip con la regia di Giovanni Pirri e la direzione artistica di Maria Pia Liotta, questo canto immortale vive ancora, nei cuori di chi ricorda, di chi ama una patria lontana, e di chi, attraverso la musica, tiene viva la fiamma della memoria. La trappola del tempo è stata scongiurata.
Nel rumore di un mondo in corsa, c’è un istante in cui ci si ferma ad ascoltare: la Bukura More ci chiama ancora.