Hell Raton, parla il nuovo giudice di «X Factor»: «Io, figlio del mondo»

Un figlio del mondo. Si definisce così Manuel Zappadu, per tutti Hell Raton, nuovo giudice di «X Factor». «Quando l’altro giorno sono entrato nel bar dove faccio sempre colazione e delle signore dell’età di mia mamma sono impazzite, ho capito che qualcosa era cambiato», spiega con quella parlantina sciolta che sta già diventando la sua cifra. Trent’anni vissuti intensamente i suoi, a cavallo tra due continenti e molte più culture. Nato ad Olbia, è cresciuto a Quito, per tornare in Sardegna quando aveva 11 anni. «I miei genitori non sono mai stati assieme — spiega —: ho preso il primo volo intercontinentale, da solo, a 7 anni, dall’Ecuador all’Italia. Fino a lì mi sentivo abbastanza speciale, ma su quell’aereo ho incontrato una bambina sudamericana con genitori giapponesi. Ho capito che non ero un supereroe ma che tante nuove generazioni avevano in loro culture miste».

Non è stato sempre semplice. «In Ecuador mi chiamavano l’italiano, in Italia il sudamericano. Con la differenza che nel primo caso faceva figo, nell’altro no. I primi anni non me la sono vissuta bene: sono uno che ha imparato a darle prendendole. La diversità fa paura, specie in realtà di provincia. Ma mi è servito per crescere». Fino al punto di andare anche oltre i confini di ciò che è prudente, sperimentando nuove strade con la musica. «Il mio background culturale contaminato mi ha spinto a fare rap in spagnolo… non mi definisco un profeta o un visionario ma non avevo grandi esempi allora e in tanti dicevano che in Italia non avrebbe mai funzionato: dieci anni fa era una scalata in salita. Poi è diventato il mio cavallo di battaglia».

Con Salmo, Enigma e DJ Slait ha dato vita alla Machete Crew ed è diventato un produttore di successo. «Ora le cose sono diverse: molti colleghi nel mondo urban sono figli delle nuove generazioni, hanno sangue misto e viene spontaneo adattare la loro lingua. Sono muri che si abbattono piano piano, ma la contaminazione è in atto». Lui non si sente figlio di due sole culture: «Ho vissuto anche in Inghilterra e il mio migliore amico è turco, così mi sento un po’ turco anche io. Sono sempre stato nomade, ogni volta che mi trasferivo per me era un nuovo inizio: era la possibilità di avere nuovi amici, una nuova vita, conoscere cose nuove».

Nel suo nome d’arte ha voluto il sudamerica: «Senza non avrei questa passione per la musica: lì la pompano 24 ore su 24, è ovunque». Ma la scelta del topo come animale a cui associarsi non è immediata. «I roditori sono considerati una cosa brutta, sono i ladri. Ma serve andare a fondo nelle cose, come Batman che si rappresenta con un pipistrello. Da quando ero piccolo mi sentivo dire sempre da tutti i parenti quanto fossi bello, con questa faccia… ecco perché ho voluto identificarmi con una cosa che non piace a nessuno». Non ha mai amato i complimenti per la bellezza.«Ormai ci ho fatto il callo anche se adesso è una cosa esasperata all’ennesima potenza. Non mi dà più fastidio come prima ma non mi voglio fermare alla copertina». Lo stesso stimolo che lo ha spinto a partecipare a «X Facto»r: «Il mio obiettivo è far capire che dietro ogni artista c’è una persona. Sapevo avrebbe stravolto la mia vita, ma non credevo così. La tv ha un potere enorme. Ma sono molto soddisfatto e non sono abituato, essendo un perfezionista».

Si è preparato al ruolo «come un sociopatico. Quando ci siamo trovati con gli altri giudici a Roma, anziché uscire con loro me ne sono stato da solo, in camera, riguardando a oltranza tutte le puntate di “X Factor”. Mi interessavano soprattutto le prime prove dei giudici». Sente la responsabilità per quello che fa in tv, «e la sento, in realtà, da quando ho iniziato a fare lo streamer. Ho una fan base che mi conosce ma peccavo di narrazione: non tutti capiscono cosa faccio. Ora potrò spiegare chi sono: è la mia scommessa». Il desiderio resta scoprire nuovi talenti: «Sono rimasto sorpreso dalla quantità di inediti: pensavo di sentire parecchie cover invece… X Factor non è più solo talent ma un contest seguito da tanta formazione, un’accademia. A un altro talent avrei detto no».

Esiste il pregiudizio nella musica? «In tanti si aspettano che la musica dia un esempio ma sono le persone che lo devono dare. Il rap è criticato ma è musica provocatoria, una valvola di sfogo. Per noi è come essere degli attori: la nostra musica è non politicamente corretta ma è una diapositiva del momento. Il pregiudizio porta a fermarsi all’apparenza. Bisogna andare oltre». Un’idea per farlo? «Le vecchie generazioni dovrebbero dare la possibilità ai giovani di viaggiare: il razzismo si uccide con la conoscenza. Sarebbe bello se i ragazzi fossero sostenuti nel fare volontariato nel mondo. La curiosità cancella i pregiudizi».

Chiara Maffioletti, Corriere.it

Torna in alto