L’assistente personale di Freddie Mercury racconta gli ultimi giorni della star (ed è pura commozione)

Peter Freestone e Freddie Mercury si conoscono da anni quando, nel 1991, il cantante dei Queen si spegne nella sua casa di Logan Place a Londra. Freestone era il suo assistente personale, oltre che uno dei suoi amici più stretti e ora, a quasi trent’anni dalla scomparsa dell’amico, lo ricorda nei suoi ultimi giorni, raccontando cosa abbia significato – per lui e per il mondo intero – la scomparsa della star. “Nessuno dovrebbe veder morire Freddie Mercury” aveva dichiarato Freestone parlando del film Bohemian Rapsody (uscito l’anno scorso) di cui è stato consulente, eppure lui è rimasto a fianco dell’amico fino all’ultimo. 

La morte di Freddie Mercury ha sconvolto il mondo e privato i fan di una delle voci più incredibili di tutti i tempi, ma nel ricordo di Freestone c’è qualcosa di più intimo e malinconico: il dolore di chi, al di là di tutto, ha perso un grande amico.

Freddie Mercury morte: l’assistente racconta i suoi ultimi giorni

Freddie Mercury era malato da tempo, aveva contratto il virus dell’HIV nel 1989, in un epoca in cui l’AIDS sembrava inarrestabile e stava decimando la comunità omosessuale (e non solo). Il cantante sceglie di non rendere pubblica la notizia ma, mano a mano che i segni della malattia si fanno più evidenti, la salute peggiora, le sue apparizioni si fanno sempre più rare. Gli ultimi mesi li passa a Londra dove i suoi cari, tra cui Mary Austin, Freestone, Joe Fanelli (allora compagno del cantante) e l’amico Dave Clark, gli si stringono antorno. “Aveva deciso di morire dopo che il 10 novembre 1991 aveva smesso di assumere le medicine che lo stavano mantenendo in vita” – spiega Freestone in un’intervista per Vice – “L’AIDS aveva cancellato ogni autonomia di Freddie, è stato il suo modo di riprendere il controllo della sua esistenza”. In quei giorni Mercury decide di parlare pubblicamente della malattia e rilascia una dichiarazione, invitando i medici e i pazienti di tutto il mondo a lottare contro l’AIDS. “Da quel momento Freddie è cambiato totalmente” – racconta Peter – “All’inizio della settimana era teso, poi invece è cambiato. In tutti quegli anni non avevo mai visto Freddie così rilassato. Non c’erano più segreti; non si nascondeva più. Sapeva che avrebbe dovuto rilasciare la dichiarazione, altrimenti qualcuno avrebbe potuto pensare che lui considerasse l’AIDS come qualcosa di sporco, da nascondere sotto il tappeto”.

Negli ultimi giorni gli amici si turnano per assistere Freddie e non lasciarlo mai solo. “Dopo la dichiarazione, alle otto di venerdì 22 novembre sono iniziate le mie dodici ore con lui” riporta sempre Freestone, che ricorda la camera di Mercury con la carta da parati ed i tappeti color crema. Peter gli tiene la mano mentre le ore passano: ai ricordi del passato si alternano momenti di silenzio.

“E poi sono arrivate le otto di domenica mattina” continua commosso, “stavo per andarmene quando Freddie mi ha preso la mano e ci siamo guardati negli occhi. Mi ha detto: ‘Grazie’ Non so se avesse deciso che era l’ora di andarsene e volesse ringraziarmi per i 12 anni passati insieme, o se invece mi stesse solo dicendo grazie per le ultime 12 ore. Non lo saprò mai, ma è stata l’ultima volta che abbiamo parlato”. 

Freddie Mercury è un’icona, un gigante ineguagliabile della musica che, nonostante la morte precoce (a soli 45 anni), ci ha regalato canzoniche rimarranno nostre per sempre. Eppure, negli ultimi momenti di vita, – prima dei funerali, prima del lutto globale e del dolore dei fan – quello che emerge, è l’uomo: il Freddie Mercury dei suoi amici e delle persone a lui care. 

Elle.com

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