I francesi devono suonare la «ritirata» su Mediaset

Nella controversa campagna d’Italia, per Vivendi il triangolo infernale è con Mediaset e Telecom. Su Telecom l’accerchiamento dei fondi – che si è aggiunto a quello di sindaci, Antitrust, Consob, concorrenti pubblici e privati – ha prodotto(per ora) il rinvio a settembre delle scelte sul riassetto al vertice, dopo l’uscita dell’ad Flavio Cattaneo. Anche per quanto riguarda il fronte Mediaset si profila uno slittamento del verdetto Agcom, che però dovrebbe essere limitato ai primi di agosto. Il consiglio dell’Authority delle comunicazioni, che ieri doveva licenziare definitivamente il piano per il congelamento della quota in Mediaset, dovrà invece probabilmente riaggionarsi la settimana prossima con una riunione ad hoc.

Infatti, a quanto risulta, gli uffici dell’Agcom hanno bisogno ancora di qualche giorno per mettere a fuoco gli ultimi dettagli del piano che la media company transalpina era tenuta a presentare entro il 18 di aprile. Vivendi aveva cercato di ottenere invano la proroga di un mese, e quindi aveva consegnato, ma solo all’ultimo, una proposta giudicata dall’Authority troppo vaga per poter essere accettata a rispetto della delibera, che comunque i francesi avevano già impugnato davanti al Tar.

 Non solo la proposta di aprile faceva riferimento a una generica fiduciaria alla quale intestare le azioni Mediaset eccedenti il 10% consentito (a dicembre Vivendi ha rastrellato il 28,8% del capitale, pari al 29,9% dei diritti di voto), ma nel corso dei contatti con l’Authority era emerso anche il tentativo di conservare il potere di veto della quota nelle assemblee straordinarie. In considerazione del fatto (appena accennato) che Mediaset, per difendersi, avrebbe potuto cambiare lo statuto. Così favorevole alle minoranze da produrre – sulla carta – il paradosso di dare una chance al secondo socio di avere una rappresentanza in consiglio sostanzialmente paritetica a quella di Fininvest, che oggi ha il 41% dei diritti di voto.

L’Agcom però questa volta pretende dai francesi non solo che venga nominato un trust indipendente cui trasferire la quota, ma anche l’impegno a cedere definitivamente le azioni in eccesso. Sono le previsioni del Tusmar (che ha recepito la legge Gasparri), nell’interpretazione data dall’Agcom, a imporre la scelta tra conservare una partecipazione superiore al 10% o in Mediaset o in Telecom. Se per ipotesi Vivendi ridimensionasse la sua presenza nell’incumbent delle tlc, il vincolo automaticamente cadrebbe e il gruppo presieduto da Vincent Bolloré recupererebbe libertà d’azione sul fronte del Biscione, fino al punto – in teoria – di poter tentare di espugnare la cittadella di Cologno in arrocco.

In questo scenario estremo, però, non ci sarebbe altra strada che provare ad allettare la famiglia Berlusconi con un’offerta “irrifiutabile”. Perchè nel frattempo gli assediati non sono rimasti con le mani in mano. Il combinato disposto del buy-back su azioni Mediaset – approvato dalle minoranze – e degli arrotondamenti che Fininvest ha la facoltà di fare senza incappare nell’obbligo di Opa, porteranno la holding di casa Berlusconi a poter avere più del 49% del Biscione a maggio del prossimo anno. Considerate le azioni che Ennio Doris è in grado di mobilitare (all’ultima assemblea Mediaset si è presentato col 2,8%), la blindatura è assicurata.

Antonella Olivieri, Il Sole 24 Ore

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