L’UTOPIA DEL CINEMA AMERICA

204245489-4de16657-973c-4f5d-99f4-01b99b098eb5(di GIULIA SANTERINI, case Repubblica) Perché i migliori registi italiani sono passati da quella sala? Storia di un’occupazione, ask di uno sgombero e di un sogno che continua a volare sui tetti di Roma. Tra carte, ricorsi al Tar e Oscar scatenati.

ROMA – “Le mani sul Cinema”. Si potrebbe intitolare così questa storia di appetiti speculativi, burocrazia indifferente e resistenza culturale. Proprio come quelle “Mani sulla città”, raccontate nel capolavoro di Francesco Rosi, proiettato, e non è un caso, sabato scorso dal tetto di una sala abbandonata del centro di Roma. Quella del Cinema America, a Trastevere, occupato dal 2012, è una piccola storia “di affetto, romanticamente anacronistica” – l’ha definita così Michele Serra – partita da un gruppo di studenti in cerca di uno spazio condiviso, che ha finito per stupire e contagiare un quartiere, una città, l’intero cinema italiano, ministri e presidenti della Repubblica.

Una storia di occupazioni, sgomberi, solidarietà e battaglie legali che potrebbe essere a una svolta. I ragazzi e i residenti difenderanno il Cinema America anche davanti al Tar del Lazio. In realtà la proprietà dell’immobile ha chiamato in causa il Ministero della Cultura, perché tolga all’edificio i vincoli storico-artistici. Ma in tribunale ci andranno anche questi giovani attivisti con i cittadini, che si sono costituiti “in parte opponendum”.

I ragazzi dell’associazione “Piccolo cinema America” raccontano l’occupazione che ha conquistato maestri come Scola e Bertolucci. Una battaglia legale e ideale con la proprietà in cui Comune, Regione e Ministero hanno giocato dalla parte dei sognatori, ma che rischia di arenarsi
intervista di Giulia Santerinivideo di Leonardo Sorregotti

Il cinema America, chiuso per fallimento dal ’99, rimane completamente abbandonato e in rovina per anni. Nel 2002 viene acquistato dalla Progetto Uno srl, società che vuole abbatterlo per ricavarne venti mini appartamenti di lusso e un garage. Ma il 13 novembre 2012, quando la giunta Alemanno sta per dare l’ok ai lavori, scatta l’occupazione.

“Con la riforma Gelmini – racconta Valerio Carocci, 23 anni, Scienze della Comunicazione alla Sapienza e occupante della prima ora – non avevamo più le scuole come luogo di incontro nel pomeriggio. Molti ragazzi della periferia, che venivano a studiare in Centro, non trovavano luoghi di aggregazione. Così in 50, liceali e universitari, abbiamo scelto l’America come spazio perfetto, un simbolo della speculazione edilizia in un quartiere vetrina. E I ragazzi del quartiere hanno risposto subito”.

Nei diciotto mesi successivi, i volontari hanno rifatto tetto, grondaia, pavimenti, impianto elettrico. Creata una biblioteca e un’aula studio. Centomila euro di lavori, raccolti con le sottoscrizioni.
L’occupazione ha successo, le serate sono sempre più affollate, la storia dei ragazzi dell’America comincia a interessare registi, attori e produttori. Artisti attratti da quella platea giovane e appassionata. Mille giovani in sala, una cosa mai vista. A via Natale del Grande vengono a presentare i loro film, o quelli dei loro maestri i premi Oscar Gabriele Salvatores, Paolo Sorrentino, Giuseppe Tornatore. Nanni Moretti, Carlo Verdone, Paolo Virzì. E ancora, per citare solo alcuni nomi: Francesca Archibugi, Francesco Bruni, Francesca e Cristina Comencini, Matteo Garrone, Daniele Luchetti, Mario Martone. Con Alessandro Gassman, Elio Germano, Rocco Papaleo, Toni Servillo, Valerio Mastandrea. E gli stessi maestri: Bernardo Bertolucci, Giuliano Montaldo, Francesco Rosi, Ettore Scola.

Forti di tanto sostegno, gli occupanti spingono Comune e Regione a fare un passo avanti: la candidatura dell’America a bene di interesse culturale. Tutelato dunque da precisi vincoli di destinazione d’uso. Il sindaco
Ignazio Marino e il presidente della Regione Nicola Zingaretti seguono la pratica e presentano la domanda al Ministero della Cultura, che apre l’istruttoria il 29 luglio 2014. A novembre, scatta il doppio vincolo: sull’edificio (che non può essere destinato ad uso residenziale) e sulle decorazioni (i mosaici e l’ottoneria). Il ministro Dario Franceschini parla di “atto importante e di battaglia vinta”. Zingaretti di “Una delle più belle iniziative di rivoluzione e ribellione culturale che la città abbia conosciuto negli ultimi anni”. La proprietà invece impugna i vincoli davanti al Tar.

Nasce un’altra idea, ancora più ambiziosa: comprare il cinema dalla proprietà privata. Si pensa ad un’offerta di 2 milioni e mezzo di euro, un “azionariato popolare” che sarà presentata da Carlo Degli Esposti (Palomar) e Nicola Giuliano (Indigo). Un’offerta d’acquisto alla quale far seguire 120 giorni per raccogliere i soldi. Cinquanta artisti sono pronti a versare 40 mila euro a testa. Ma la proprietà rilancia: vuole più del doppio. “Oltre 5 milioni di euro – rimarcano dal Comune – abbiamo tentato una mediazione ma è stato impossibile. Chi ce li ha?”.
Il 3 settembre 2014 tutto crolla. Il cinema viene sgomberato senza alcun preavviso, né mediazione. “Abbiamo parlato due volte con i vicesindaci, quattro con l’assessore alla Cultura, due volte con l’Urbanistica, poi abbiamo preso parte ad un tavolo tutti insieme. E alla fine l’amministrazione abbandona la trattativa”, ci dice Carocci, allibito. Mentre Sorrentino minaccia di restituire la cittadinanza onoraria al sindaco.

Ma questa piccola grande storia continua, si cambia solo scena. Alcuni cittadini di Trastevere concedono al collettivo l’ex forno (per sei mesi, in comodato d’uso), un locale di 30 metri quadrati accanto al Cinema America. Anche grazie agli abitanti del “bohemian quarter”, come lo definisce il Guardian, i ragazzi della neonata associazione Piccolo Cinema America organizzano l’arena San Cosimato, con proiezioni all’aperto. In quella piazza in una sera di settembre possono leggere a tutti la lettera del presidente Giorgio Napolitano: “Valuto – scrive il Capo dello Stato – come altamente positivo l’impegno di quanti sostengono la presenza diffusa di centri di attività culturale, teatri e sale nei quartieri storici delle nostre città”. Nella stessa arena Ettore Scola sentenzia: “Ogni sala di un cinema è un appartamento dei lusso. Chi la chiude, chiude il futuro”.

E siamo arrivati al 2015. I ragazzi assicurano: a gennaio il sindaco Marino, in un’assemblea pubblica, promette “nuove trattative” con la proprietà, “lavori per eliminare l’eternit dal tetto dell’America”. E “una nuova sala a Trastevere” entro il 6 marzo, quando il collettivo dovrà lasciare il forno. Ma quella data arriva e nessuno di questi impegni è mantenuto. Il Comune sgombera invece un altro cinema occupato del quartiere, la Sala Troisi, e annuncia che lo metterà a bando. “Con questa amministrazione – spiegano ora all’assessorato alla Cultura – ogni immobile viene assegnato solo attraverso un bando e le regole sono uguali per tutti. I ragazzi dell’America potranno partecipare”.
Al collettivo sono delusi: “Ci avevano promesso l’America, incontri su incontri, con vicesindaci e assessori. Non un bando. Non la Sala Troisi”. Intanto però la voglia di riprendersi le vecchie sale abbandonate di Roma (ce ne sono 42) va oltre il Cinema America. L’ultima protesta dei ragazzi di Trastevere si è svolta per tre giorni proprio sul tetto della Sala Troisi, dal 19 al 21 marzo. Hanno proiettato su un muro “I 400 colpi” di Truffaut, con Francesca Archibugi. E anche, guarda un po’, “Le mani sulla citta”.

E ora? C’è l’appuntamento al Tar. “Continueremo ad attraversare i tetti dei cinema dismessi – garantisce Federico, 20 anni, Scienze della Comunicazione – Contro il piano del Comune che prevede la loro trasformazione in parcheggi e residenze, con deroghe al piano regolatore e azzeramento degli oneri. Non pensiamo di riaprire 42 cinema, ma l’America insegna che si può andare oltre alla logica del centro commerciale”. In Comune invece le cose le vedono così: “Abbiamo mappato 42 sale chiuse e lanceremo un bando per cercare di capire come riaprirle insieme ad associazioni e privati. Privati che hanno chiuso perché non riuscivamo a tirare avanti. Vogliamo tenerle chiuse altri dieci anni o accostare alle attività culturali iniziative commerciali più redditizie. Non pensiamo ai supermercati, ma ai bar certamente.”

Valerio scuote la testa: “Un cinema vive se, come all’America Occupato, oltre a un film ci puoi vedere la partita, studiare, incontrare gli amici. E poi perché non pensare a Trastevere come fosse una grande multisala? Con botteghini unici agli ingressi del rione, per tutte le sale storiche – Reale, Troisi, Roma, Alcazar, Ex Pidocchietto – magari specializzate in film in lingua originale, documentari, per bambini e d’essai”. E l’America? “All’America le anteprime, il cuore pulsante”. Ecco il sogno che ha incantato tutti: non le mani, ma il cuore sul cinema.

Torna in alto