Edoardo Raspelli: “Attenti al web: troppi dilettanti danno stroncature a ristoranti e alberghi!”

A TU PER TU/ Edoardo Raspelli, che tornerà in autunno al timone di Melaverde insieme con Ellen Hidding, ci dice la sua sul fenomeno, ormai diventato dilagante, delle recensioni

«A ciascuno il suo mestiere: io, anche se ho due piedi, non pretendo di commentare la Nazionale di calcio», afferma il crìtico gastronomico

Fini assaggiatori si nasce, non ci s’improvvisa. E bisogna tenersi in costante allenamento. Parola di Edoardo Raspelli, critico gastronomico e “palato d’oro” nel vero senso della parola: anni fa, il giornalista e conduttore ha assicurato gusto e olfatto con una polizza da 500mila euro. In autunno lo ritroveremo ogni domenica al fianco di Ellen Hidding al timone della ventesima edizione di Melaverde (originariamente su Rete 4, dal 2012 su Canale 5), la trasmissione dedicata al nostro patrimonio culinario e naturalistico.

Lei si è sempre definito “un cronista della gastronomia” più che un critico. Perché? «Sono innanzitutto un giornalista: ho iniziato a scrivere per i quotidiani appena quindicenne. Mi sono occupato di cronaca nera e alla cucina mi sono avvicinato un po’ per cuore e gola, un po’ per caso. Un giorno, Cesare Lanza, allora direttore del Corriere dell’Informazione (l’ex edizione pomeridiana del Corriere della Sera, ndr), mi affidò una pagina sui ristoranti: dovevo testarli personalmente, pagare il conto e assegnare le pagelle. Fatto inedito per l’epoca, non mi limitavo agli elogi, ma davo anche giudizi severi».

Che cosa dovrebbe fare un giovane d’oggi per diventare critico gastronomico? «Gli consiglierei innanzitutto di imparare a fare la spesa e di farsi le ossa preparando in prima persona i piatti. E soprattutto di allenare il palato. Se non ce l’hai, nessuno può dartelo. Credo che conti anche una sorta di predisposizione genetica».

Che ne pensa dei portali come TripAdvisor, spesso al centro di polemiche per le recensioni diiettantistiche? «Rappresentano una sorta di “folle democratizzazione” della critica. Anche io ho due orecchie, ma non mi sognerei mai di scrivere un articolo su una rappresentazione della Bohème di Puccini, oppure, siccome ho due piedi, di andare a commentare una partita della Nazionale di calcio. Adesso, invece, chiunque può e vuole esprimere pubblicamente la propria opinione, anche senza specifiche competenze. La critica è di per sé soggettiva, ma deve sempre avere dei “paletti” entro cui muoversi, anche nel rispetto della legge. Nella mia carriera ho dato stroncature e ricevuto querele, tutte finite con la mia assoluzione, ma non mi sono mai permesso di sconsigliare un ristorante».

 Ha avuto qualche esperienza diretta? «Tempo fa, è comparsa su TripAdvisor una mia falsa recensione, peraltro molto feroce, ai danni di un albergo. In quel posto non c’ero mai stato ma qualcuno aveva utilizzato indebitamente una mia foto e la mia identità. L’equivoco è stato chiarito, eppure quella falsa recensione è rimasta online per settimane!».

Se le proponessero un format Tv come Hotel da incubo? «Accetterei, ma a patto di poter dare alla conduzione una chiave meno folkloristica e più professionale. Lascerei comunque parlare cuochi ed esperti: io resto un conduttore e un intervistatore che si emoziona per le storie delle persone».

Le guide gastronomiche contano ancora? «Per come sono fatte adesso non hanno più senso. Spesso pongono il focus su avanzamenti o retrocessioni di illustri chef, ma alla gente non frega poi tanto se il tal ristorante ha cento “stelle”, “cappelli” o “forchette”: vuole sapere dove mangiare bene, spendendo il giusto. Inoltre, da un anno all’altro le edizioni tendono a ripetersi. È inevitabile, del resto: come fanno una decina di ispettori a provare in meno di un anno oltre 4.600 strutture tra ristoranti e alberghi?».

È vero che nel nostro Paese si mangia sempre peggio? «Per forza, anche cuochi bravissimi finiscono per fare accostamenti terrificanti: capesante saltate nel lardo con fondo di liquirizia, sfere di cioccolato immerse nell’olio… Ma per favore! Gualtiero Marchesi, anni fa, è stato un innovatore, ma i suoi piatti rivoluzionari si potevano mangiare, eccome».

Cristina Penco, Vero

 

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