Dalla parte delle bambine (e dei bambini), i modelli di cinema e tv

Negli Stati Uniti un’associazione che giudica film e prodotti tv per i bambini ha recentemente introdotto la categoria del genere, ma in Italia già da alcuni anni c’è un team di ricercatori che tiene sotto controllo come l’immagine della donna viene proposta dai programmi Rai

Qualcosa si sta muovendo. Già da qualche tempo in realtà, ma senza fare troppo rumore, al punto che se non ve ne foste accorti potevate anche essere giustificati. Poi però, Federer non aveva ancora messo piede fuori dal Tempio del tennis quando la Bbc annuncia: “il tredicesimo Doctor Who sarà donna”. E va bene che la serie tv sul Dottore che attraversa il vortice spazio-temporale a bordo della sua macchina, il Tardis, non ha in Italia lo stesso seguito che ha in Gran Bretagna (la finale di Wimbledon, probabilmente l’evento sportivo per gli inglesi, non è stata scelta certo come momento a caso per dare l’annuncio), ma la svolta è piuttosto importante: in quasi sessant’anni di storia, mai il Dottore si era rigenerato donna. E quindi adesso, con Jodie Whittaker pronta a prendere il posto di Peter Capaldi nella serie, tra le esultanze e le polemiche degli schieramenti già nati, anche i più distratti avranno notato che sì, qualcosa sta cambiando. E a beneficio delle donne.
Qualche settimana fa la Common Sense Media, un’associazione statunitense che si occupa di stabilire quali film e programmi televisivi sono adatti ai più piccoli, si è posta il problema di indagare se al cinema e in tv ci fosse un’adeguata rappresentazione della figura femminile. In altre parole, l’organizzazione si è chiesta: ma oggi, i film e le serie tv combattono gli stereotipi di genere? Nel domandarsi questo, la preoccupazione era sempre per i bambini che si trovano davanti allo schermo: analizzando ricerche già esistenti, infatti, Common Media aveva rilevato che “i media che propongono regole rigide di rappresentazione dei generi, influenzano la visione che i più piccoli hanno di se stessi, delle relazioni e delle aspirazioni lavorative”. Quindi, intervistato un campione di circa mille genitori, quello che è venuto fuori è che mamme e papà sono altrettanto preoccupati della visione stereotipata della figura femminile che certe storie tuttora propongono. L’associazione ha allora deciso di introdurre un ulteriore metro di valutazione. Ora, cioè, nell’elenco di ciò che “i genitori devono sapere”, elenco che Common Sense stila per ogni film o programma recensito, c’è pure quello che hanno definito come “positive gender representations“: più una storia rompe gli stereotipi, più spinge i bambini e le bambine a pensare oltre la tradizionale divisione per ruoli, più avrà una recensione positiva.
“Per una volta abbiamo superato a sinistra gli Stati Uniti nelle questioni di genere”. A dire questo, scherzando ma comunque con una certa soddisfazione, è Elisa Giomi, docente all’Università Roma Tre, che già da un paio di anni coordina un team di ricercatori il cui compito è proprio quello di monitorare e valutare i programmi Rai da un punto di vista della rappresentazione dei generi. “La Rai è tenuta da contratto di servizio a fornire un’immagine corretta della figura femminile e a evitare rappresentazioni stereotipate o discriminatorie, ma non avrei mai immaginato, quando ho iniziato a fare questo lavoro, di trovarmi a collaborare con un team così agguerrito”. Quello che la professoressa fa con la sua squadra, tentando di semplificare qui un processo piuttosto articolato, è analizzare un campione di settecento programmi ogni anno: “Sono compresi fiction, film, telegiornali, programmi di attualità e approfondimento, tutte produzioni Rai naturalmente, che vanno in onda sui quattro canali, Rai1, Rai2, Rai3 e Rai4 nelle diverse fasce orarie”. Ogni trasmissione è analizzata da due persone diverse, poi queste prime valutazioni sono trasmesse a un revisore esperto “che si concentra soprattutto laddove sono evidenziate criticità”. Se, in effetti, in un dialogo o snodo narrativo vengono notate discriminazioni o rappresentazioni stereotipate, se viene violata – con comportamenti derisori o commenti negativi – la dignità delle donne, si passa all’analisi collegiale del programma e se il giudizio è un’anime, entro una settimana, agli uffici Rai perverrà il messaggio di “alert”.
“I risultati relativi al 2016 sono piuttosto positivi: solo l’1 per cento delle trasmissioni inserite nel campione è stato giudicato una violazione e l’1.4 per cento ha costituito una criticità. E per questa prima metà del 2017 le percentuali sono solo leggermente superiori”. Anche da noi poi, in linea con i dati internazionali, è risultata valere la “regola del terzo”: da un punto di vista quantitativo le donne presenti sullo schermo sono un terzo rispetto agli uomini. “L’aspetto positivo è che quando ci sono, sono rappresentate in virtù delle loro capacità professionali, sia che si tratti di protagoniste di film, che di esperte invitate in un talk show o di donne al centro di fatti di cronaca”. Il dato è però bilanciato da questi altri due aspetti: “sono, in secondo luogo, ritratte in virtù del loro ruolo all’interno della famiglia, come mamme di, sorelle di, mogli di, molto di più degli uomini e sono quasi sempre loro a essere vittime o parenti di vittime: l’idea è che le donne siano ancora il sesso debole”.
E a fronte di casi eclatanti, come la puntata di Parliamone Sabato, la rubrica di Paola Perego, durante la quale è stata letta la lista di motivi per i quali gli uomini dovrebbero “preferire le donne dell’est”, ci sono altri esempi meno clamorosi “ma forse proprio per questo peggiori perché sono espressione di idee radicate, di un senso comune”, continua Giomi. Uno arriva da un programma di divulgazione scientifica: “Solitamente il programma mantiene un livello alto, ma in questo caso la conduttrice, una giornalista, ha fatto davvero uno scivolone. Parlando di menopausa ha detto: le donne in questa fase della vita, sebbene non più fertili, sono ancora utili alla società”. È l’esempio della “natura infestante degli stereotipi che si insinuano dove meno te lo aspetti”. Ben venga, quindi, un Doctor Who donna che non ti aspetti.

La Repubblica

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