LA CRESCITA CULTURALE (E INDUSTRIALE) DELLA RAI DEL «SOVRANO» BERNABEI

Bernabei è stato per molti anni (1961-1974) il padrone assoluto della Rai. La sua politica è stata un autoritarismo illuminato, che lasciava spazio ai professionisti

ettore bernabeiL’avventura tv di Ettore Bernabei può essere riassunta in due frasi. La prima è di Enzo Biagi: «Il più grosso torto di Bernabei è stato quello di non dire mai di no e accontentare il più largo numero di questuanti». La seconda è di Andrea Barbato, sotto forma di lettera aperta: «Un po’ a dispetto, siamo stati da lei addestrati alla libertà».Queste frasi spiegano bene le molte sfumature di un uomo che è rimasto dietro le quinte del potere per oltre 50 anni. Forse sarebbe più giusto scrivere «dentro il potere» perché non c’è stato avvenimento politico di rilievo che non lo abbia visto protagonista: sempre un po’ defilato ma mediatore instancabile, consigliere ascoltato. Bernabei è stato per molti anni (1961-1974) il padrone assoluto della Rai. Ha dominato l’azienda come un sovrano. Basta ricordare le ormai leggendarie censure a Fo e a Tognazzi o al fatto che nei tg la parola «sciopero» poteva essere usata solo quando l’astensione dal lavoro era terminata. Il suo mandato era quello di spostare l’asse politico della Rai dal centro-destra al centro-sinistra favorendo l’ingresso dei socialisti ma restando molto vicino ai poteri forti della Chiesa (non ha mai fatto mistero della sua appartenenza all’Opus Dei), mettere uomini fedeli nei posti chiave dell’azienda, promuovere con vigoria lo sviluppo dell’azienda portandola al livello delle più forti e blasonate tv europee. È anche vero che allora la tv era nella sua fase esplosiva e ogni programmo veniva visto con curiosità e partecipazione. La sua frase più citata suona: «I telespettatori sono 20 milioni di teste di ca… (espressione in seguito ingentilita con altri eufemismi, ndr). A noi il compito di educarli». La sua politica è così riassumibile: un autoritarismo illuminato che, in quanto tale, conservava tenacemente il controllo politico dell’azienda ma lasciava anche spazio ai professionisti e si preoccupava della crescita culturale e industriale della Rai.

Corriere della Sera

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