SALE DEL 30 % LO STREAMING DI MUSICA IN ITALIA, MA CRESCE ANCHE IL VINILE

I dati Fimi del 2016: gli abbonamenti hanno generato oltre 35 milioni di euro e rappresentano il 51% di tutto il segmento digitale. I vecchi ellepì valgono il 6% del mercato e 10 milioni di euro

Anche in Italia non si ferma la crescita dello streaming musicale: +30% nel 2016. Rappresentando fino a ormai oltre il 36% del settore. Sono i ricavi dagli abbonamenti a crescere maggiormente, con quasi il 40% di incremento rispetto al 2015. Gli abbonamenti hanno generato oltre 35 milioni di euro e rappresentano il 51% di tutto il segmento digitale. Lo streaming video cresce del 4%. Lo dicono gli ultimi numeri della ricerca Deloitte, confermando che anche nel nostro Paese il trend globale è la musica in streaming, cresciuta del 30% fino a rappresentare ormai oltre il 36% del settore.
Come riporta la Fimi (Federazione dell’industria musicale italiana), con oltre 43 milioni di brani disponibili su decine di piattaforme attive 24 ore su 24 e migliaia di playlist condivise ogni giorno dagli utenti, il fenomeno dello streaming musicale è ormai parte delle abitudini del consumatore italiano. I dati confermano la crescita degli abbonamenti, ovvero dei servizi premium rispetto al modello gratuito sostenuto dalla pubblicità: anche se la conversione da free a pay resta in Italia al di sotto della media globale, l’attrattività dei modelli di offerta in abbonamento continua la corsa. Dal 2012 ad oggi i ricavi da abbonamento sono saliti del 1.315%, trascinati anche dall’uso sempre più diffuso degli smartphone.

Mentre download e CD scendono – sebbene il mercato fisico continui pur sempre a generare la maggior parte del fatturato -, l’altra faccia della rivoluzione digitale sembra essere quella del ritorno al vinile, arrivato a rappresentare una significativa – considerati i tempi – quota di mercato del 6%, raddoppiata in un triennio, con quasi 10 milioni di ricavi. Emerge che i consumi sono ormai sensibilmente cambiati con i fan che si muovono spesso integrando modelli di accesso e fruizione musicali differenti.
Tra i teenager c’è diffusione dello streaming e del vinile, sono capaci di una dieta musicale che coniuga l’ascolto compulsivo di brani su servizi online con l’acquisto di una versione limitata ed esclusiva del vinile. Un esempio su tutti: Ed Sheeran ha portato nella classifica italiana dei singoli, così come in tutto il globo, tutti i brani dell’ultimo album Divide e, allo stesso tempo, è finito al primo posto tra i CD più venduti della Top of The Music oltre che in testa alla chart del vinile. Nel Regno Unito l’artista ha realizzato il 62% delle vendite con il disco fisico, ha prodotto la migliore performance di un album nella classifica del vinile da venti anni ad oggi, e contemporaneamente è cresciuto del 500% con l’ascolto in streaming. Il che conferma che non esiste oggi una ricetta unica per tutti gli artisti, e la sfida più grande è proprio capire questo passaggio. Le case discografiche ormai lavorano quotidianamente con i dati che arrivano dalle piattaforme e dalle società di ricerca, numeri che descrivono l’andamento del contenuto su servizi streaming, ma monitorano anche ciò che accade sui social.
Il supporto fisico diventa spesso una componente complementare all’interno di strategie che richiedono l’intervento di diversi formati su numerosi canali, con operazioni negli store dove i fan incontrano gli artisti e portano il CD per avere un autografo o scattarsi un selfie, come se il supporto fosse un gadget da possedere, o come se la ricerca del vinile fosse quasi la parte tangibile della relazione costante che si costruisce anche online con il proprio artista di riferimento. E dunque lo streaming gioca due ruoli: da un lato è fortemente condizionato dalla sua capacità di essere una piattaforma di discovery dove conoscere le novità (e in questo c’è la sfida epocale alla radio) e dall’altro promuove e traina anche le vendite fisiche, in particolare del vinile.
«La forte differenza tra i ricavi da video streaming e audio, lascia ancora emergere – dichiara Enzo Mazza, CEO di Fimi – il tema del value gap con piattaforme come YouTube, sulla quale vengono realizzati miliardi di stream (la piattaforma di video sharing è utilizzata per ascoltare musica dall’89% degli italiani – fonte Ispsos Connect 2016,) ma che genera pochissimi centesimi per gli aventi diritto a causa di un baco normativo comunitario. E se l’Europa attribuisse una connotazione giuridica univoca per piattaforme come Spotify, Deezer o Youtube i ricavi generati dal video sharing potrebbero anche raddoppiare».

La Stampa

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