MGMT, i protetti di McCartney ora hanno un bersaglio: “Trump, il gioco non è diventente”

‘Little Dark Age’ è il nuovo disco di Andrew VanWyngarden e Ben Goldwasser che, mantenendo il marchio di fabbrica pop psichedelico, ora è più impegnato: “Abbiamo passato tempi peggiori quindi, nel dirci che non stiamo vivendo gli anni migliori, il disco ci dice pure di avere fiducia nel futuro”. Stasera saranno in concerto al Summer Festival di Milano

Proviamo a fare un gioco. Gli MGMT dicono: “Non c’è articolo o video su di noi che a un certo punto non citi quell’album e quelle tre canzoni”. Scommettiamo: in questo articolo che riguarda proprio il gruppo indie rock statunitense non faremo alcun riferimento “a quell’album e a quelle tre canzoni”. Dall’altra parte del telefono si sente Ben Goldwasser ridere: è scettico.Ben è uno dei due membri del gruppo nato nel 2002 come The Management e che ha poi cambiato nome in MGMT (anche perché esisteva già una band con quello stesso nome). L’altro è Andrew VanWyngarden: entrambi cantano, suonano la tastiera, la chitarra, il basso e la batteria ma quando partono in tour gli MGMT diventano sei: a Ben e Andrew si aggiungono James, Matthew, Will e Simon. I due componenti fissi si conoscono al college e se tra gli anni Novanta e Duemila dalle Università escono più gruppi musicali che laureati, quanti possono vantare il successo immediato che hanno gli MGMT?Il loro rock psichedelico che guarda agli anni Settanta, ma è fatto più di vera allegria che sostanze allucinogene (per quanto dicano esplicitamente “mi trasferirò a Parigi, mi farò di eroina e scoperò le star”… sì, è in corso una scommessa), piace pure a Paul McCartney che tempo fa disse: “Vorrei lavorare con gli MGMT, scrivere con loro della musica che faccia ballare”per poi sceglierli, nel 2009, per aprire i suoi concerti. Il gruppo è la “band rivelazione” per parecchie riviste di settore nella seconda metà degli anni Duemila, i loro brani entrano nelle classifiche dei migliori dell’anno. Poi però gli entusiasmi si raffreddano con i due lavori successivi, Congratulations e MGMT: per critica e pubblico la band ha perso la vena pop, il potere di far divertire, in altre parole. Con Little Dark Age gli MGMT tornano dopo cinque anni. Per un po’ di tempo sono stati separati, anche geograficamente, poi il momento storico ‘cupo’ li ha ispirati e Ben e Andrew hanno ricominciato a scrivere. Brani divertenti, paradossalmente, perché “bisogna avere fiducia nel futuro e noi vogliamo che il pubblico continui a divertirsi ai nostri spettacoli”, dice Ben.“In questi cinque anni sono successe un po’ di cose, io sono andato a vivere a Los Angeles e Andrew a New York. Abbiamo iniziato a lavorare a Little Dark Age scrivendoci delle mail: io avevo costruito il mio studio di registrazione in California, Andrew aveva il suo a New York, poi però siamo tornati a fare musica insieme, come siamo sempre stati abituati a fare”. Il risultato è un album il cui titolo si può tradurre in più modi, ma il concetto che porta è uno: stiamo vivendo degli anni difficili. Per la politica, “il gioco non è più divertente, il re è arrivato” dice uno dei brani, Hand it Over, e il riferimento è proprio a Donald Trump e alla sua vittoria alle elezioni presidenziali, e per come si sta trasformando la società. She Works Out Too Much racconta del tempo speso da una ragazza sui social media per costruire l’illusione di una vita perfetta, TSLAMP è l’acronimo di Time Spent Looking At My Phone, vale a dire: tempo passato a guardare lo schermo del cellulare. “No, non stiamo attraversando un momento storico bellissimo – continua Goldwasser – ma ce ne sono stati tanti in passato. Se ci pensiamo, ci rendiamo conto che ne siamo sempre venuti fuori, quindi nel dirci che non stiamo vivendo gli anni migliori, Little Dark Age ci dice pure di avere fiducia nel futuro”.Gli MGMT allora alleggeriscono tutto con testi ironici e divertenti, del resto è una “little” dark age, un breve periodo negativo. Se, poi, la loro visione della società è quella di una società sempre più connessa e alienata dalla realtà, “un po’ come quella di Black Mirror, sì”, l’intenzione non è certo quella di “metterci su un piedistallo, giudicare e sentirci più intelligenti degli altri, piuttosto regalare una fotografia di quello che siamo oggi”. È lo stesso motivo per cui “la situazione politica non ci lascia indifferenti, ma abbiamo cercato di non entrare troppo nel dettaglio. Nelle nostre canzoni non ci sono messaggi politici diretti perché non siamo scienziati della politica. E poi, la cosa più importante è che le persone continuino a divertirsi ascoltando e ballando la nostra musica”. La loro versione remixata di Electric Feel degli MGMT ha vinto un Grammy Awards nel 2009. Electric Feel è, insieme con Kids e Time To Pretend, uno dei brani più famosi degli MGMT, tutti contenuti nell’album di esordio Oracular Spectacular. Se con Ben Goldwasser siamo riusciti a non fare nessun riferimento a disco e canzoni, non ricordare affatto alcuni dei brani più ascoltati e coverizzati dello scorso decennio, presi in prestito da registi per le colonne sonore dei loro film, sarebbe stato davvero un peccato.

Giulia Echites, repubblica.it

Torna in alto