C’ERA UNA VOLTA STUDIO UNO: I 5 MOTIVI DEL SUCCESSO

Il potere evocativo dei ricordi e l’effetto vintage hanno convinto quasi 7 milioni di spettatori

cera-una-volta-studio-uno-1C’era una volta Studio Uno, il potere dei ricordi
Un tuffo nel passato dal forte potere evocativo. C’è tutta la forza dirompente del ricordo dietro il successo di C’era una volta Studio Uno, la fiction di Rai 1 in due puntate che ha conquistato oltre 6 milioni e 700 mila spettatori sia lunedì che martedì sera. Un boom clamoroso, ma non inaspettato, per la miniserie che ha raccontato un pezzo di storia della televisione datato ma ancora estremamente attuale. «Il pubblico è abituato a vedere spezzoni di tv in bianco e nero, spezzoni appunto, io avevo tra le mani la possibilità di raccontare la storia della nascita di un grande varietà e di far entrare il pubblico dietro le quinte in una sorta di enorme backstage», spiega il regista Riccardo Donna. Perché in fondo quello che accade dietro le quinte, spesso è più interessante di quello che si vede in video.

Alessandra Mastronardi e il cast “giovane”
Mixare la storia del grande varietà televisivo – diretto da quel gran genio di Antonello Falqui – con i sogni e le speranze di tre giovani donne, i cui destini si intrecciano a loro volta con le vicende di un paese in pieno boom economico e con lo scintillante mondo dello spettacolo e della tv. Questa formula è uno dei segreti del successo di C’era una volta Studio Uno, in cui gli sceneggiatori hanno raccontato la storia di chi non è diventato famoso ma ha contribuito a costruire quell’innovativo programma, dietro le quinte, negli uffici, a fianco delle star più famose. Funziona il cast giovane, capitanato da Alessandra Mastronardi, che si conferma una delle attrici più amate dal grande pubblico, nei panni di Giulia, la brava ragazza piena di talento che poi tradisce e diventa vittima. Ottima prova anche per Diana Del Bufalo, che riesce a contenere la sua verve esplosiva e mette il suo carisma al servizio di Rita, la sartina che sogna di sfondare come cantante. Convincente anche Giusy Buscemi, ex Miss Italia nuova star delle fiction: la sua Elena è forse il personaggio più complesso, che si evolve e scopre quanto la sua bellezza sia un’arma capace di aprire tutte le porte.

I personaggi come “eroi moderni”
C’è il sogno, il raggiungimento dei propri desideri, l’ambizione e la competizione. I protagonisti di C’era una volta Studio Uno sono mossi dal desiderio di affermarsi e si trasformano in “eroi moderni” conquistando il pubblico. Certo, scendono anche a compromessi, ma lottano per farcela e accettano i propri limiti: la scalata al successo è diversa da come l’avevano immaginata, scoprono talenti diversi e sono costretti a fare i conti con loro stessi, ma alla fine si sentono utili perché sanno di partecipare ad un grande progetto collettivo (anche senza doverne essere per forza protagonisti), che cambierà la tivù.

Il racconto tra bianco e nero e colore
Giocare liberamente mischiando il passato reale in bianco e nero al passato ricostruito dalla regia, grazie ai colori. C’è un lavoro severo e minuzioso per ricostruire fedelmente quelle atmosfere di Studio Uno e per questo il regista Riccardo Donna ha passato molte ore a riguardare il materiale di repertorio nelle Teche Rai. Il risultato? Una ricostruzione pressoché perfetta di scenografia, costumi, fotografia, musica che hanno creato una sorta di mondo parallelo, identico a quello del 1961 e che hanno permesso al pubblico di riscoprire la ventata di trasformazione e modernizzazione di un intero modo di pensare e di raccontare, la grande “rivoluzione” di quell’uomo geniale e determinato che è Antonello Falqui.

L’effetto vintage e gli anni ’60
Grandi protagonisti della miniserie C’era una volta Studio Uno sono stati poi gli anni ’60, con il loro stile inconfondibile, l’eleganza, le canzoni, la ‘500 e gli elettrodomestici, tra boom economico e la Dolce Vita. “Un’epoca che ha fatto epoca” e che ha conquistato il pubblico di Rai 1, grazie alla capacità di evocare ricordi e di sprigionare una magia senza uguali sul piccolo schermo. Un pezzo di storia di costume italiano, raccontato con nostalgia ma anche con realismo, senza trascurare le contraddizioni e le ipocrisie di quel periodo.

Francesco Canino, Panorama

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