Racconti d’estate: Erotika a Parigi

Prosegue il viaggio nelle città nei racconti d’autore. Per la Ville Lumière la penna della scrittrice nata a Tirana

Nella mia palestra, che si trova vicino alla rue Montorgueil, stradina animata da negozi e caffè, una delle mete predilette degli italiani (tra i suoi caffè Le Rocher de Cancal, in cui sfilavano i personaggi della Commedia Umana di Balzac, e che Balzac stesso frequentava), proprio all’entrata del mio club rimango folgorata da una creatura dotata di una chioma folta e scura, un corpo alto, snello, che avanza sdegnoso verso la réception. Come voi italiani, appartengo all’Eros, come voi e l’Eros, sono nata sotto il segno di Venere, quindi mortalmente sensibile al sontuoso. Ad un tratto, il mio mondo si era ridotto a questa creatura. Avevo scordato l’allenamento – ero andata per disciplinare la mia carne, e mi trovavo improvvisamente davanti alla bellezza. La bellezza è una casa, ed è tua anche se non la possiedi – scrive la rara Ginevra Bompiani 1 . Un bisogno imperioso mi aveva assorbita: Dovevo osservarla da vicino. Si trattava di un bisogno vitale, come quando ci si addormenta stremati, come quando si beve dell’acqua dopo non so quanti giorni.

Come vi suona, se vi dico che quella creatura non mi aveva degnata nemmeno di uno sguardo? Lo sguardo delle Bellezze mira da sempre a galassie innominate. Ne ho dedotto che fosse cosa intrinseca alla bellezza pura. La créature parlava con la ragazza della réception, io aspettavo che finisse. Aveva finito, e attraversava il corridoio, anch’io attraversavo il corridoio, entrava negli spogliatoi, io anche entravo negli spogliatoi. Avevo altra scelta? La bellezza si era seduta sul bancone, eh beh, anche me stessa si era seduta sul bancone. Dovevo parlarle, in caso contrario il mio corpo avrebbe preso fuoco. Il Suo corpo. Valentina di Crepax, con un paio di seni enormi, che non possono essere altro che plastica in questo corpo esile di forme perfette. Dovrei trovare dei neologismi per descriverlo, perché i termini mozzafiato, superbo, maestoso, sarebbero insufficienti e logori in questo caso. Comme vous-êtes belle! le avevo detto con una reverenza come se avessi parlato a Dio. Non avevo più fierezza. Nemmeno dignità. Merci, era stata la risposta di uno stato d’animo neutro. Mica potevo mollare: Oh mais vous êtes d’une beauté incroyable !
La risposta è stata il vuoto. La créature non ha detto più niente. Si era alzata ed era andata via. Non mi ero offesa. Con i francesi ci vuole tempo. Li devi addomesticare piano, rischi di spaventarli.

Palestra. Dopo tre mesi di addomesticazione.

Si chiamava Sylvie . Avrei giurato, sin dalla prima volta che l’avevo vista, che lavorava nel mondo del sesso. Che lavoro fai Sylvie? Lavoro in un bar di notte. Un libro del Dalai Lama era diventato un suo organo. Pensiero positivo, pensiero positivo, pensiero positivo. Sì, le avevo detto, hai ragione, pensiero positivo. Aveva un ragazzo Sylvie, incontrato in facebook, un arabo musicista che quando le faceva l’amore non le toglieva la maglietta. Non deve amare i miei seni, disse. Quante avventure i suoi seni! Una volta, fumando, si era addormentata, e la sigaretta le era caduta sul seno, bruciando la pelle. Non aveva sentito niente, ma proprio niente, perché la pelle, mi aveva detto, era insensibile a causa del silicone. Poi un’altra volta, prima della storia della sigaretta, una delle protesi, di quelle fatte d’acqua, le si era sciolta nel corpo, e la bella Sylvie era corsa statuaria al pronto soccorso, riempendo la tetta svuotata con delle calzette.

Fammi vedere il tuo sedere, le dicevo quando eravamo negli spogliatoi. Oh rispondeva, sei proprio tremenda sai! Ma perché? replicavo, amo la bellezza, sei così bella! Voglio solo vederti! Sono un’esteta!
Sui siti internet, dove lavorava come escort, aveva messo un nome ebreo. Preferisco clientela ebrea confessava e poi si sfogava che non aveva clienti. Che non aveva soldi neppure per rinnovare la palestra. Il mercato è preso dalle ragazze dell’est e loro sì che sono toste, t’immagini? Studiano all’università. Medicina ti rendi conto?

Stasera voglio uscire, ma il mio compagno esige che sia accompagnata da un’amica. Ti andrebbe di venire con me? mi aveva chiesto Sylvie.

Che tipo di serata sarebbe?
Si tratta di una vendita di schiavi.
Una vendita di schiavi?
Anche se si fosse trattato di uno scherzo, la cosa mi sembrò assurda.
Sì, sì mi disse, vieni e vedrai, si tratta di un’autentica vendita di schiavi.
Vendita di schiavi a Parigi, nel ventunesimo secolo?
Vieni e vedrai disse, vieni e vedrai. Allora deciditi, perché altrimenti dovrò trovare qualcun’altra. Vieni o no?
Vengo, vengo, avevo detto.
Cosa avevo da perdere? Come mancare ad una vendita di schiavi a Parigi?
La sublime Sylvie, metà ebrea, metà araba, un quarto italiana e tutta francese era venuta a prendermi a casa. Aspettava in basso al portone divorando le pagine del suo Dalai. È una ragazza «engagée», mi sono detta. Vende il suo corpo certo, ma è sensibile ai mali del mondo, e stasera mi porterà nella sede di qualche organizzazione che ricorda la piaga della schiavitù nella nostra storia.
Appena mi aveva vista, aveva chiuso il suo Dalai consigliandomi: I pantaloni non vanno bene. Vai a cambiarti! Devi venire con un vestito. Il vestito deve essere nero ed elegante. Ci vuole un po’ di rispetto.
Non avevo fatto storie, avevo seguito gli ordini della creatura, avevo cambiato i pantaloni con un vestito semplice e nero. Stavo andando a partecipare ad una vendita di schiavi, che si doveva svolgere nel nostro ventunesimo secolo. Il posto è vicino a Place de la République, mi aveva annunciato La Créature.
L’entrata era strettamente nominativa. Entrammo, fin qui niente di eccezionale. La gente che affluiva piano era più vecchia di noi, tutti si erano salutati e non scordarono di salutarci. Di una gentilezza squisita. Lo spazio era stretto, i muri in pietra nuda.
Si chiamava Les Barbares. Le sedie erano messe in fila, davanti ad un palco ornato di velluto rosso che sembrava bello pesante. Sylvie mi aveva presentato un ragazzo attraente, alto, e ben spaccato in palestra. È il mio innamorato, mi aveva detto. Mehdi. Mehdi al suo turno mi aveva salutata con grazia. Quanta cortesia!
Sono in paradiso.
Dio fai che io resista! Assisterò ad una vendita di schiavi a Parigi, proprio vicino a Place de la République, dove s’innalza gigante la statua di Marianne, dove i musicisti suonano la Marseillaise!
Il sipario di velluto si era alzato, le luci si erano affievolite. Il silenzio si era fatto totale. Aspettavo gli schiavi. Ammetto, la curiosità è un demonio. Sylvie, che prima sedeva accanto a me, era sparita. Era andata in bagno. Il suo posto fu preso da una bionda sulla cinquantina, anche lei vestita di nero. Un signore di mezz’età aveva interrotto il silenzio, entrando in scena. Era vestito con uno smoking, calze rosse scuro in vista, aveva fissato noi, il pubblico, per un lungo momento, poi, la sua voce forte mi aveva sorpresa::

Il Sonetto del buco del culo di Verlaine e Rimbaud! avevo sussultato. La bionda sulla cinquantina che aveva colto il mio sconcerto, mi regalò un sorriso dai denti giallissimi e poi, oh stupore, mi aveva accarezzato il braccio con la sua mano vestita d’un guanto tempestato di mille aghi fini. Non avevo avuto il tempo di soffermarmi su questa bizarrerie, perché il signore che aveva letto il Sonetto del buco del culo, appena finito l’inchino, annunciava che la vendita degli schiavi stava per iniziare:
Comincia la vendita degli schiavi!
Il palco, che si era oscurato improvvisamente, viene risvegliato da una luce debole che illumina una specie di palla, che si trova ad un angolo della scena. La palla sembrava muoversi. Quando i miei occhi si abituarono a quella poca luce, la palla aveva assunto la forma di una donna molto piccola, vestita interamente di tulle. Era una nana. La nana teneva le mani incrociate, la testa abbassata, e tremava tutta. Il suo vestito di tulle richiamava gli abiti della monarchia francese. Il signore in smoking recitava:

Quello che mi ci vuole è un’orgia brutale,
la bruna cortigiana dalle labbra rosse 3

Un altro uomo era salito sul palco. Questa poveraccia, dice mostrando la tremante palla di tulle, questa poveraccia non vale niente! Vedete come trema? Perché sa di non valere niente.
La palla di tulle pareva che piangesse. La vendo! urlò l’uomo. La vendo! La vendo per trenta frustrate! Chi è che la vuole?
Sbalordita, ma col sorriso sulla faccia (sentivo questo mio sorriso nato indipendentemente da me), mi sono guardata attorno.
Nessuno vuole questa poveraccia? Non mi stupisce affatto! Ve l’avevo detto, aveva continuato l’uomo, Lo so che non vale niente!
La palla di tulle sembrava cadere a terra.
Venti frustrate! Dai! Nessuno di voi ha un po’ di rabbia da sfogare?
Due mani si alzano, poi tre, quattro!
Offro cento barbar 4 !
Cinquecento! dice un’altra voce dal fondo della sala.
Settecento!
Ottocento!
Ottocentocinquanta!
Ottocentocinquanta? Chi dà di più? chiede l’uomo dallo smoking.
Va per Ottocentocinquanta! Venduta!
Andiamo avanti!

La frustava con rami…
… Puntava tutto sulle sue chiappe bianche 5

Un altro personaggio occupava la scena. Questa volta si trattava di un uomo alto, muscoloso, sicuro di sé nei movimenti. Prendeva tempo. Appoggiava le piante dei piedi a terra con fermezza, sembrava pensante, ma d’un tratto smise il suo andirivieni e d’impulso gridò: Séverine! Séverine! Venez-ici! Venez vite! C’est votre Maître qui vous ordonne!
Una créature entra in scena. È Sylvie! Sylvie in un body sgambatissimo in vinile nero che le entra leggermente nel sesso, lasciando intravedere le labbra perfettamente depilate.
Ecco la mia schiava da vendere! aveva lanciato fiero Mehdi. Una così costa caro! Ammiratela! È docile, sottomessa, le potete fare di tutto! Tutto quello che Io permetto ovviamente! La vendo! Comincio da 7000 barbar!
La sala aveva straripato in una esultazione che risultava difficile da gestire all’uomo dallo smoking. Le urla si sentivano da tutte le parti, le mani alzate salivano sempre di più il prezzo del barbar.
Come posso ottenere dei barbares?, avevo chiesto alla bionda di fianco.
Volevo comprare Séverine-Sylvie per chiederle tutto quello che volevo sapere di lei, tutto quello che lei non mi diceva, perché era una bugiarda di prima classe Séverine-Sylvie: I suoi genitori le erano morti quando lei aveva avuto soli sei anni – La settimana seguente sarebbe andata a trovarli, Ma no! Le era morta solo la madre! Poi: Ho un amante ricchissimo a New York! E: Quando mai ho detto questo?
C’è una ragazza giovane là in fondo! aveva esclamato Mehdi indicandomi. È da tanto che questa ragazza sbava per il culo sontuoso della mia schiava! Vuole toccare La mia schiava!
La folla si era girata verso me. Dovevo far fronte. Vilaine Sylvie!
Non ho dei barbar, avevo detto pensando che l’affare lo chiudevo qui.
A questo punto, aveva suggerito il fiero Mehdi, Diventi la mia schiava, e Lei potrà fare ciò che vuole di Séverine. Salga sul palco!
Era notte profonda. Avevo lasciato Les barbares sotto i ritmi di Sade, Renée Vivien, Georg Sand. La bella Séverine-Sylvie fu venduta a quaranta frustate e cinque penetrazioni.
Attraversavo di nuovo la Place de la République sotto la statua della imponente Marianne. Decisamente Parigi non finisce mai.

DI ORNELA VORPSI, ILLUSTRAZIONI DI CINZIA LEONE, L’Espresso

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