Fabio Rovazzi: generazione Bio vegetale

Fabio Rovazzi

Esce il 18 gennaio in circa 400 copie con la Disney Il vegetale, il nuovo film di Gennaro Nunziante che, momentaneamente orfano di Checco Zalone – che ha deciso di mettersi direttamente dietro la macchina da presa per il suo prossimo film in uscita nel 2019 – punta tutto su Fabio Rovazzi, rivelazione del web, YouTuber e interprete dei tormentoni ‘Andiamo a comandare’ e ‘Tutto molto interessante’. Ma il suo rapporto con Luca Medici in arte Zalone è la prima cosa che il regista chiarisce durante la conferenza stampa di presentazione: “quando abbiamo iniziato a lavorare insieme io e Luca eravamo amici, ora siamo fratelli. E un rapporto di fratellanza è per sempre, tutto il resto sono chiacchiere. Anche se ha detto che questo film fa schifo – conclude scherzando – perché non c’è lui”. La storia è piuttosto semplice. Fabio (che nel film mantiene il suo nome, cognome e “personaggio”, se vogliamo assimilabile al ‘Candido’ di Voltaire) è un giovane ventiquattrenne in cerca di lavoro. Suo padre è un ricco ingegnere, ma non si vedono da cinque anni e inoltre il genitore rimane coinvolto in un incidente che lo lascia in stato vegetativo. Con la piccola sorellastra a carico, Fabio è costretto ad accettare uno stage in un campo di raccolta pomodori in un paesino sperduto. Qui incontra Armando (Luca Zingaretti) un vicino di casa simpatico ma un po’ invadente e la bella maestra Caterina (Paola Calliari) di cui si innamora immediatamente. Finirà per mettere su un’azienda agricola biologica tutta sua. “Volevo dare una visione di questa generazione priva di stereotipi – dice il regista – per cui mi sono messo ad ascoltarla. Fortunatamente non ci tira le bombe sotto casa ma cerca invece di rifondare il paese, da cui forse non possiamo pretendere una schiarita totale ma dobbiamo accontentarci delle piccole giornate di sole. Il Bio rappresenta per certi versi il ribaltamento di un sistema e di un concetto di agricoltura e sfruttamento della terra che diventa opportunità. Un bel segno da cui cominciare. E l’ho voluta raccontare in maniera gentile perché trovo che tra le nostre mancanze ci sia proprio l’attenzione ai rapporti umani, ho incontrato tanta gente intelligente nel mio cammino ma meno gente gentile ed educata”. “Ritengo le tematiche del film molto importanti – dice Rovazzi – il mio pubblico è quello dei bambini e dei ragazzi e gli voglio dare un messaggio reale, cioè che per riuscire a fare qualcosa bisogna rimboccarsi le maniche, mettendo da parte il modello di affermazione facilitato che implica il prevalere sugli altri. Sono soddisfatto e penso potranno esserlo anche le famiglie che vanno a vedere questo film”. D’accordo anche Zingaretti: “E’ certamente uno sguardo sui giovani diverso, lontano dalla solita retorica sui bamboccioni”. “Cercavo una maschera come fanno tutti gli autori di commedie – continua a raccontare Nunziante – e la volevo moderna, mi ha conquistato Rovazzi quando l’ho visto nel preambolo di un suo videoclip, ho capito che quello era lo sguardo della generazione che volevo raccontare. C’era un solo problema, era già famoso e popolare e dunque sapevo che ci potevano essere dei pregiudizi nei suoi confronti. Ma non mi sono voluto comportare come chi ha preso dei ragazzi dal web e più che lanciarli al cinema li ha lanciati nel vuoto. Ci abbiamo costruito intorno un progetto e Rovazzi lo ha migliorato e completato”. “Si tratta in effetti – dice Rovazzi con consapevolezza – della prima volta che chi mi segue mi sopporta per più dei canonici 7 minuti di un video. E’ un film che chi mi segue probabilmente non si aspetta, ma per me è una cosa positiva. La mia è una generazione confusa, da un lato tanto precariato, dall’altro con i social network puoi inventarti un lavoro, come ho fatto io. Probabilmente è una generazione abbozzata a matita, ora siamo noi a dover tracciare la china”. Non casuale il riferimento ai fumetti, dato che la Disney, per promuovere il film, ha reso Rovazzi (con lo pseudonimo di ‘Paperazzi’) protagonista di alcune strisce a fumetti che compariranno sul numero 3243 di ‘Topolino’, in edicola in questi giorni. Nunziante sottolinea invece la portata ‘politica’ di una storia come questa: “Preferisco il termine ‘giustizia’ a quello di ‘legalità’, che mi lascia sempre perplesso. La metafora del vegetale è chiara. Noi veniamo da generazioni che hanno vegetato ai danni dello Stato e si sono mangiate tutto. I nuovi non lo potranno fare, e già per questo meritano un applaudo. Viviamo in un paese dove l’imprenditoria è garantita proprio per poter vegetare e continuare a farlo ai danni della società, che in cambio ti dà il job-act, e quindi ti lascia a vegetare. In questi ragazzi vedo una speranza per l’uscita dal circolo. Seguo le ‘Utopie Minimaliste’ dello psicanalista junghiano Luigi Zoia: la generazione del sessantotto era piena di ideali, ma erano ideali della luna, non della terra. Oggi forse si punta ad avere ‘ideali concreti’. Non a cambiare una generazione intera, ma a cambiare il proprio mondo più vicino, la propria famiglia, noi stessi. Non pretendere integrità morale dagli altri ma iniziare a pretenderla proprio da noi, e relazionarci agli altri. Individualmente non si va da nessuna parte”. Sulla crisi del cinema risponde Zingaretti: “Ne sento parlare da quando sono nato, ma in realtà negli ultimi anni grazie anche alle nuove tecnologie c’è stato un gran fiorire di giovani talenti che hanno scritto, diretto e interpretato. Il problema è la strettoia delle leggi, anche se con la nuova legge cinema mi pare si sia fatto un bel passo avanti, e di fatto l’assenza di risorse economiche per poter contrastare le altre cinematografie sul mercato. Ci vuole una classe politica che sostenga l’industria non solo del cinema ma in generale dell’immagine, dato che siamo nell’epoca in cui il modo in cui vendi qualcosa è iù importante di cosa vendi”. “Non sono capace di parlare di incassi e non so cosa aspettarmi – dice Nunziante in chiusura – credo che chi fa cinema debba continuare a fare l’artigiano e che ci voglia spazio per la sperimentazione, il rischio, il provare cose nuove altrimenti vedremo sempre i copia incolla degli stessi film e le stesse facce. Rossellini si è venduto casa per fare Roma città aperta, se invece continui a vegetare sullo Stato cosa ti importa di fare film belli?” Conclude Rovazzi con una curiosità: “Il mio personaggio avrebbe dovuto chiamarsi Filippo ma mi sembrava troppo strano. Ho chiesto io di mantenere il nome, anche perché penso sia giusto, il personaggio mi somiglia. Ho avuto molte proposte, ma ho cercato di non essere arrogante. Ho accettato questa perché sapevo di potermi fidare di Gennaro che il cinema lo sa fare, l’errore più grande sarebbe tentare di parlare al cinema con il linguaggio del web”.

 

Cinecittànews

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