RIFORMA RAI, PRONTO IL DDL RENZI: UN AD FORTE, CDA A 7 MEMBRI, DI CUI QUATTRO ELETTI DALLE CAMERE E UNO DAI DIPENDENTI

renzi rai(Huffington Post) Un Amministratore delegato con ampi poteri sulla gestione finanziaria e su quella editoriale e un direttore nominati dal governo. Più quattro consiglieri di amministrazione eletti dalle Camere e un membro scelto dai dipendenti dell’azienda. Questa la mediazione della riforma della governance allo studio in queste ore a Palazzo Chigi, and nella quale la Commissione di Vigilanza rimarrebbe in vita con poteri di indirizzo e di controllo sull’operato dei vertici. Una soluzione che sembra preferita allo schema base, che prevedeva un Ad e il direttore di nomina governativa, più tre membri del Cda votati dalla Vigilanza.

È questa la declinazione del “piano A”, l’idea che ha in testa Matteo Renzi per riformare il servizio pubblico e che porterà domani in Consiglio dei ministri. Gli uffici di Antonello Giacomelli stanno preparando il testo di un disegno di legge che raccolga la sintesi fatta a Palazzo Chigi. Non un’operazione normativamente complessa, una paginetta, al massimo due. Si tratta solamente di intervenire sull’articolo 49 del Testo unico sulla radiotelevisione e di modificare tre o quattro articoli della legge Gasparri.

Un’operazione – al momento in cui scriviamo – già praticamente conclusa. Ma gli uomini di Giacomelli, recependo le indicazioni del premier, hanno approntato anche il “piano B”, quello di un sistema duale che preveda un Consiglio di sorveglianza composto da 11 membri (la maggior parte nominati dalla Vigilanza, uno dai lavoratori e un paio da soggetti terzi), che a sua volta nomini un Consiglio di gestione di tre figure, tra cui l’Ad su indicazione del governo. Un modello che prevederebbe che il Consiglio di sorveglianza sostituisse di fatto la Vigilanza, votasse il bilancio e il piano industriale, e che controllasse il lavoro dell’Ad tramite momenti di confronto calendarizzati una vota ogni mese o due. A sua volta l’Ad dovrebbe riferire in Parlamento periodicamente lo stato dei lavori e le progettualità future.

Il premier porterà solo il primo nella cartella che avrà con sé in Cdm. Lo illustrerà ai ministri, e spiegherà il percorso attraverso il quale ci si è arrivati. Se non dovessero esserci particolari frizioni (e ovviamente gli sherpa di Palazzo Chigi stanno lavorando affinché non ce ne siano), Renzi potrebbe scendere in conferenza stampa testo alla mano. Se, al contrario, si aprisse una discussione accesa, si procederebbe in modo diverso. Ovvero con la presentazione di un più generale piano strategico al quale hanno lavorato tutto il giorno Vinicio Peluffo e Lorenza Bonaccorsi e Francesco Verducci, da sottoporre ad un confronto-lampo con le forze politiche (dieci giorni, due settimane al massimo) per poi tornare in Cdm entro la fine del mese con la proposta definitiva. E il “piano B” pronto nel cassetto qualora ci fosse la necessità di tirarlo fuori.

In serata, si è venuti a conoscenza di alcuni stralci del testo programmatico, che prefigurano “una guida manageriale vera”, uno “stop alle procedure cavillose” di nomina e di gestione, e l’ipotesi di “tre reti specializzate e una senza spot”.

Sul tavolo dei ministri non ci saranno invece il canone e la riforma della mission, la riscrittura del contratto di servizio. Due argomenti per i quali c’è tempo fino al 2016, e sui quali si lavorerà con più calma una volta chiuso il capitolo governance.

Anche perché la riforma del governo del servizio pubblico è un argomento che, di per sé, è già abbastanza corposo per sperare di superare senza accese discussioni il vaglio del Parlamento. Nei confronti che Peluffo e Verducci stanno avendo in questi giorni, stanno registrando una netta propensione per il sistema duale. Contatti informali, momenti più che altro di raccolta di impressioni da parte delle altre forze politiche, che tuttavia portano tutti nella stessa direzione. Sia Sel, sia il Movimento 5 stelle sono fortemente contrarie al modello Spa e a quello che ritengono il rafforzamento del ruolo del governo nell’azienda tramite un Ad dagli ampi poteri. Mentre sul modello duale sarebbe più facile aprire una discussione. Un parere che attraversa trasversalmente anche i membri della Vigilanza del Pd. Il primo a sbilanciarsi pubblicamente è stato il senatore Federico Fornaro: “Il sistema duale – ha spiegato – può dunque essere la soluzione giusta per la più che auspicabile rapida riforma della governance della Rai consentendo anche un corretto equilibrio tra le prerogative del Parlamento e quelle del governo”.

Renzi però sul modello Spa conta di incassare, se non l’appoggio, almeno la non ostilità di Forza Italia. “È uno schema nel quale la Gasparri viene solo leggermente modificata – è il ragionamento – e nel quale gli azzurri potranno continuare a dire la loro sulle nomine e sul controllo attraverso i loro esponenti in Parlamento e in Vigilanza”.

Nel frattempo, proprio i forzisti hanno messo le mani avanti. E con una mossa di cristallina tattica parlamentare hanno spinto affinché ieri l’VIII commissione del Senato incardinasse in sede referente il disegno di legge di Enrico Buemi in merito “Norme per la riforma del sistema e dei criteri di nomina, trasparenza e indirizzo della Rai”. Tradotto: visto che Palazzo Madama ha iniziato per primo la discussione sull’argomento, sarà da lì che si dovrà partire. Con tutti gli annessi e i connessi che i numeri risicati della Camera alta comporteranno nell’iter parlamentare

“Dopotutto il sistema duale in Italia non ha mai funzionato”, scherza in queste ore Renzi con i suoi. Per questo domani punterà decisamente du uniformare ex codice civile la Rai alle altre grandi partecipate di stato. Tenendo in piedi la Vigilanza, conferendo al Parlamento il potere di eleggere la maggioranza del Cda e ai dipendenti di partecipare alla governance. Ma, soprattutto, disegnando la figura di un Ad che possa davvero governare l’azienda.

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