Prossimamente SAAKH_RA, un film di Veronica Mazziotta

La poesia è la rimozione di tutti i limiti della coscienza. Laddove non c’è una storia definita ma l’intenzione di tratteggiare una storia potenziale, dimora quella e la somma di tutte le altre storie possibili. Le narrazioni che rinunciano a uno sviluppo lineare o non lineare che sia, prediligendo invece un turbinio di immagini al fine di creare uno shock visivo e emozionale, appaiono, poi, nel complesso come una sequenza di micro frammenti di storie. Tutte incredibilmente insieme, molte potenzialmente slegate. Queste non-storie diventano una cifra stilistica poiché sono dichiaratamente non verosimili. Impongono, allora, a chi le guarda non tanto di ripescare nella memoria personale un avvenimento in particolare o di compiere un atto di immedesimazione piuttosto di ricreare una mappatura di emozioni, di coaguli di senso. Ma è proprio questo meccanismo causale a fare in modo che anche in ciò che è apparentemente privo di logicità, vi sia più di un elemento riconoscibile e riconducibile. Con SAAKH_RA di Veronica Mazziotta si entra in una zona liminale, scomoda per antonomasia, tra il perturbante e la più irrefrenabile attrazione. E ciò che la rende tale è un’atmosfera palpitante data dalla velocità dei cambi, la musica psichedelica e i personaggi iconici che si alternano. Quattro figure che sono state separate dal concetto di corporeità inteso come genere e come macchina in evoluzione, piuttosto calate all’interno di una bolla di sospensione dal tempo e in una rassicurante agamia. Come delle entità polari, vivono gli estremi di una dicotomia che solo l’arte può contenere insieme: verità e finzione. Da un lato le loro azioni, comportamenti densamente umani che si rivelano, per noi spettatori, un alfabeto emotivo familiare di cui però troppo spesso ne dimentichiamo l’unica regola che vale la pena di seguire: la tregua del giudizio. I personaggi di Veronica Mazziotta ondeggiano nel campo visivo catturati e persi nelle riflessioni, si sfiorano, ansimano, si dimenano da soli presi da un raptus. Cedono per alcuni attimi alla follia, quella che può comparire all’improvviso anche nel quotidiano, grazie ad un singolo episodio di vita che ci fa impazzire. Dall’altra parte, i loro abiti – preziose e sensuali creazioni di Daeorum e LesHommes, nel caso ad esempio della figura con il volto luminescente il vestito assomiglia quasi a un costume di scena del teatro kabuki – contribuiscono a conferire quel senso di rarefazione e estasi tipico di quelle figure sacerdotali calate in un’ambientazione onirica. Proprio questa peculiarità, fa avvicinare SAAKH_RA ad alcuni rimandi tra loro eterogenei, come gli elementi surreali tipici della filmografia di Alejandro Jodorowsky; alla sovraesposizione dei sentimenti e dell’intimità dei personaggi cristallizzati in certi lavori fotografici di Erwin Olaf, passando per la sfrenata lussuria del colore rosso utilizzato da Kubrick nel suo Eyes Wide Shut.

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