ALBA ROHRWACHER: “MI FACCIO SPIARE MA SOLO AL CINEMA”

Raramente le nostre attrici vantano una carriera internazionale, ma Alba Rohrwacher, già nel cognome tedesco pronta alla globalizzazione della sua arte, è sulla rampa di lancio globale

Sarà la pelle chiara, come i capelli biondi e gli occhi da lago imperscrutabile, però l’interprete umbra del fortunato Perfetti Sconosciuti e di altri film di successo da Il papà di Giovanna a La solitudine dei numeri primi, che le fece incontrare il suo partner di vita e di lavoro, Saverio Costanzo, col quale ha girato Hungry Hearts -, sembra provenga da un altro pianeta. Non quello angusto del cinemello italiano, chiuso nel suo provincialismo, ma quello dove si parla la lingua della professionalità e della serietà, monete buone in tutto il mondo. Per questo è richiesta all’estero (ha girato Angelo dell’austriaco Markus Schleinzer, film in costume ambientato a Vienna, tra il 1720 e la Rivoluzione di Ottobre del 1848) e ora è star di punta della rassegna Rendez-Vous. Non si dà arie da diva, beve un bicchier d’acqua e parla volentieri di sé e del suo lavoro. Oggi esce il thriller La meccanica delle ombre dell’esordiente parigino Thomas Kruithof, dove lei è Sara e ha per partner il magnifico interprete di Quasi amici, François Cluzet. L’atmosfera opprimente del «polar», ispirato ai complotti francesi degli ultimi trent’anni e alle minacce del mondo delle ombre, non toglie smalto all’eroina dal volto umano disegnata da Alba.
A un passo dalle elezioni francesi, quanto è attuale il film tra spionaggio e servizi segreti?
«Molto. La sceneggiatura ricorda il cinema francese degli anni Settanta, con una citazione de Il maratoneta. La sua struttura a dedalo rimanda anche a certe atmosfere alla Hitchcock, rimanendo contemporaneo».
Il tema della sorveglianza era presente anche in Perfetti sconosciuti…
«Quella però era una commedia, dove la sorveglianza era prevalentemente sentimentale. Questa di Kruithof, invece, è una sorveglianza politica, che induce alla paranoia».
Nella vita privata si sente mai sotto sorveglianza, data l’invasione dei social?
«Mi ritengo libera: infatti non sono su Facebook e comunque tutti i social mi sembrano una limitazione della libertà, propria e altrui. Preferisco non iscrivermi a niente: non ho bisogno di guardare e farmi guardare, anche se non giudico chi lo fa».
Qual è il suo regista-tipo, il dominatore che la dirige o il collaboratore che le dà spazio?
«Dipende. Con Kruithof è stato un incontro sorprendente: mi ha colpito la sua dedizione e la grande professionalità che metteva nel mestiere, nonostante fosse esordiente».
Il cinema italiano batte la fiacca e quello francese, invece, cura ancora i generi e va bene al box-office: da che cosa dipende, secondo lei?
«A dire il vero, neanche in Francia si fa più molto il poliziesco. Ma quando lo si fa si cerca, come qui, un film adatto a un grande pubblico, popolare e trasversale. Poi, in Francia si girano molte commedie, ma c’è spazio anche per il cinema d’autore. Lì la cultura è un valore, in Italia no».

Cinzia Romani, il Giornale

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