Paolo Villaggio e il suo Fantozzi, la risata cattiva di un comico premonitore

Resiste al tempo la saga creata dall’artista scomparso un anno fa. Un personaggio in anticipo sui tempi, in un mondo senza eroi fondato sulla prevaricazione dei prepotenti sui più deboli

Quando, un anno fa, Paolo Villaggio si congedò dal mondo, il cordoglio generale fu enorme: tanto da superare perfino le aspettative di chi conosceva bene la popolarità sua e del suo alter-ego Fantozzi. Per settimane le reti televisive programmarono senza sosta i film del ragionier Ugo Fantozzi, in un lutto nazionale per il povero ragioniere che alternava tristezza e tante risate. Non ci si interrogò abbastanza, forse, sulle ragioni di tale, incondizionato consenso. Certo, la saga di Fantozzi rappresentava l’unico vero serial cinematografico comico, nonché il primo degno di questo nome dai tempi di Totò. Però c’era qualcosa di meno evidente (e di altrettanto decisivo) che ne costituiva la forza e che ha contribuito a mantenerla intatta nel tempo. Era la sintonia con una mutazione culturale, quasi una premonizione sul futuro prossimo, che oggi possiamo vedere più chiaramente.Tra i tanti esempi di commedie blandamente satiriche e di comici condiscendenti, Fantozzi rappresentava i tempi dell’homo homini lupus, quelli della guerra di tutti contro tutti. I nostri. Quante volte si è sentito ripetere in questi ultimi anni, anche da fonti autorevoli, che occorre abbassare i toni, attenersi a criteri di confronto civile nella vita sociale come in quella politica? Quanto ci allarma, oggi, il fenomeno degli ‘hater’ del web, che fanno dell’odio e della diffamazione la propria ragione di esistenza? Ebbene, con largo anticipo Fantozzi è stato il centro di un mondo senza pietà, hobbesiano, privo di eroi e fondato sulla prevaricazione dei prepotenti sui più deboli: in modo comicamente deformato, sì, ma in fondo realistico come lo era stata, per secoli, la letteratura ‘bassa’. Proprio da quella letteratura Villaggio, uomo colto, aveva attinto il suo intramontabile personaggio di uomo-massa, cane bastonato, ‘quello che prende gli schiaffi’. Il quale, in un mondo così cattivo, non era a sua volta (non poteva essere) affatto buono.Ricordiamo qualcuno degli episodi della saga fantozziana, scegliendo tra innumerevoli possibilità. La partita di calcio in cui il ragioniere viene imbarcato in un pullman di tifosi, ad esempio, che diventa una vera e propria guerra tra tifoserie rivali. O la riunione di condominio: dove tutti si salutano cerimoniosamente, prima di prendersi a colpi di clava e di altri oggetti contundenti. Iperboli sì, ma a partire da realtà (a)sociali che tutti conosciamo. O, ancora, l’episodio in cui Fantozzi tenta di scambiare la sua orrenda nipotina in passeggino con una graziosissima bimba bionda e, scoperto, si difende col pretesto che “i bambini sono tutti uguali”, quindi è facile confonderli.Non è un caso che, alla fine degli anni Sessanta, Villaggio si fosse fatto conoscere dal largo pubblico con il personaggio del dottor Kranz, alter ego di Fantozzi cattivo e autoritario quanto il ragioniere è predisposto a subire e fare da vittima. Questa comicità dal fondo feroce, irresistibile ma nel fondo figlia di una concezione pessimistica del mondo e dei rapporti umani, conteneva un potere di sublimazione che conquistò i favori del pubblico e che mostra di resistere al tempo: acquistando, anzi, attualità a fronte di repertori comici più deperibili e soggetti a usura.Villaggio/Fantozzi è stato un unicum nel cinema comico italiano del dopo-Totò; lontano mille miglia dalla comicità proletaria e antica di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia quanto da quella ‘borghese’ di tanti comici nazionali: come il suo contemporaneo Renato Pozzetto, per dirne uno; o, più tardi, Enrico Brignano o Fabio De Luigi. I quali, ai suoi antipodi (e sia detto senza intenzione di sminuirli), si sono dati un tono di bonomìa per istituire una complicità con il pubblico mediante atteggiamenti buonisti; magari ridendo delle loro stesse battute mentre le pronunciano. Villaggio è l’esatto opposto. La sua arma di seduzione di massa non è la risata ammiccante, ma quella cattiva, a denti stretti, con un sottofondo sociologico in cui lo spettatore può riconoscersi; accettando perfino di sentirsi un po’ Fantozzi. Quel mondo di aggressività “sdoganata” e volgare in cui si dibatteva il ragioniere e dove, in fondo, oggi abitiamo tutti.

Roberto Nepoti, larepubblica.it

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